E’ andata fortunosamente in scena il 2 marzo l’anteprima dello spettacolo prodotto dal Contato con in scena Laura Curino e Lucia Vasini
Sembrava la fine di una astinenza forzata da spettacoli dal vivo e invece era solo una boccata d’aria durata appena due giorni, la nuova produzione del Teatro Giacosa L’anello forte andato in scena il 2 e 3 marzo ad Ivrea.
Tratto dal testo di Nuto Revelli dallo stesso titolo con in scena Laura Curino e Lucia Vasini, lo spettacolo vede la compartecipazione alla produzione del Teatro Stabile di Torino e la collaborazione della Fondazione Nuto Revelli, con video e immagini degli Archivi del Polo del ‘900, e di altri tra cui l’Archivio Nazionale Cinema Impresa.
Nella ricorrenza dell’anno passato, 15 anni dalla morte e 100 dalla nascita, si è tornato a parlare di Nuto Revelli, persona capace di assumere via via ruoli di tale importanza da fare dimenticare ognuno quello precedente: scrittore, certo, ma prima raccoglitore e ricercatore di storia orale e testimonianze, prima ancora, nel dopoguerra, esponente politico e prima comandante partigiano e prima di ciò ufficiale nell’esercito mandato allo sbaraglio in Russia.
Dalle sue ricerche nelle campagne e montagne piemontesi, registrando i racconti di una umanità povera e senza voce che andava scomparendo, sono nati Il mondo dei vinti nel 1977 e dopo altri sette anni dedicati alle testimonianze femminili L’anello forte nel 1985.
Sono racconti solo di trentacinque anni fa ma ci parlano di altri secoli, un’altra epoca, un altro universo. Fame, povertà, fatica, bambini affittati, matrimoni per lettera, emigrazioni, padri e mariti padroni. Eppure nella voce delle donne c’è anche determinazione, orgoglio, talvolta allegria.
Lo spettacolo era stato preceduto l’anno scorso da uno studio in forma di reading che vedeva impegnata la sola Curino mentre ora la scena è divisa con Lucia Vasini, attrice proveniente dalla Milano di Paolo Rossi, Dario Fo e Franca Rame, per la regia di Anna di Francisca.
Aiutate da una scenografia semplice ma molto colorata che prevede anche un separè girevole tra una testimonianza e l’altra, le protagoniste del libro si alternano sul palco raccontando la vita in montagna, il lavoro, spesso la servitù, fin da bambine, le aspettative e anche le delusioni del matrimonio, la separazione dal paese di origine, magari al meridione.
Ci sono lavori per noi ormai impensabili come la confezionatura di parrucche con tanto di raccolta di capelli nei paesi, scelta e divisione degli stessi per colori, lavaggio, pettinatura, la scelta di farsi suora, come altre due sorelle più grandi, ma vissuta come scelta di libertà e di allargamento dalla vita in famiglia, la decisione di seguire un trapezista dopo aver visto un piccolo circo in paese, sfidando le maldicenze e il conformismo dei parenti. Ci sono donne arrivate dal sud e conosciute per foto dai contadini piemontesi che trovano una campagna povera come quella di provenienza, forse ancora più diffidente e chiusa. C’è comunque sempre l’uomo che decide, che comanda e tutti che lavorano per quattro soldi da mattina a sera tutti i santi giorni, compreso quello del matrimonio.
A far da sfondo e da completamento delle vite narrate sono proiettati sullo sfondo filmati del Piemonte degli anni ’50 e ’60 e fotografie delle reali persone intervistate mentre sul finire dello spettacolo compaiono anche i volti di quello che oggi è l’anello debole delle nostre società, i migranti in fuga da una miseria che noi ci siamo lasciati alle spalle da non molto.
I testi, e le testimonianze, sono quindi di assoluto valore e assolutamente utili per ricordarci come eravamo fino a pochi anni fa. Nella anteprima vista al Teatro Giacosa però la semplice alternanza delle due convincenti e appassionate protagoniste, con caratteristiche giustamente diverse, è apparsa un po’ troppo scontata e senza uno sbocco credibile che andasse “oltre” la pagina scritta. Non è facile rendere sulla scena la forza e il senso di pagine così dense e dure come quelle dell’Anello forte ma forse una maggiore asciuttezza e fiducia proprio nella forza della parola darebbe allo spettacolo quell’energia indispensabile per conficcarsi nella mente dello spettatore.
Chi volesse comunque immergersi ancor più nel mondo di Nuto Revelli non perda l’esposizione dal 10 al 30 aprile al Polo del 900 a Torino della mostra fotografica “Ricordati di non dimenticare, Nuto Revelli, una vita per immagini” curata da Paola Agosti ed Alessandra Demichelis e curata dalla Fondazione Nuto Revelli.
Francesco Curzio