Questa piccola rubrica, senza troppe pretese, ambisce all’obiettivo di rendere tutti un po’ più partecipi della storia contemporanea di questa città, troppo spesso considerata irrilevante o povera di note degne di essere ricordate
La riorganizzazione territoriale sotto Bonaparte proseguì indisturbata. La ricerca di un locale per la scuola e per la biblioteca e l’acquisto di terreni adatti alla costruzione di un cimitero ne furono un evidente segnale, in quanto dimostrano come l’attenzione agli edifici della città andò di pari passo con la necessità di soddisfare un “sistema di bisogni”. Tra i “bisogni-principe” dell’epoca quelli che in nessun modo un’amministrazione avrebbe mai potuto ignorare furono quelli legati alla fame e alla sanità.
Ma non tutto quel che luccila è oro e sul finire del marzo 1809 la città d’Ivrea ricevette una lettera che ridimensionò ampiamente il buon umore degli amministratori eporediesi. Il documento venne spedito dall’allora Prefetto Auguste Jubé, detto anche «Baron de la Parelle» e andò a toccare uno dei nervi scoperti della città: la totale assenza di un cimitero comunale in grado di soddisfare il bisogno di sepoltura.
Le sue parole furono più che eloquenti e tradotte si presentano così: «Il decreto imperiale del 23 Fiorile anno XII, avente come oggetto la sepoltura, non è stato eseguito. Queste sagge disposizioni erano mirate a preservare la salubrità della città e garantire a tutti il rispetto dei loro morti. Questo rispetto, signori, è stato osservato da tutti i popoli come un atto religioso; e questa opinione si riscontra sia nelle popolazioni più barbare, così come nelle nazioni più civilizzate. È risaputo che ad Ivrea i cadaveri vengono messi alla rinfusa sotto le chiese, le quali, tuttavia, sono andate nel tempo riempiendosi. Per ovviare a questa insufficienza li avete buttati nelle cloache: alla sola idea l’umanità intera freme, minacciando anche i sani di morire di morte precoce».
Nel giro di una decina di righe il Comune d’Ivrea venne velatamente tacciato d’essere “barbaro”. Come dargli torto? Buttare i morti all’interno delle cloache come fossero spazzatura non si addice alle popolazioni più civilizzate.
Ma i morti, si sa, non si curano degli affari dei vivi e nessuna rappresaglia sarebbe potuta sorgere dai cadaveri “sfrattati” dal loro eterno riposo; né tanto meno alcuna sommossa sarebbe potuta sorgere dal sopito abitante eporediese d’inizio ‘800, pacato e schivo nel farsi protagonista di vicende importanti. L’unico che fece sentire la sua voce fu il Prefetto, che prendendo gli amministratori per le orecchie rimproverò loro negligenza e vergona.
Andrea Bertolino