Un invito ad affrontare, collettivamente, questa complessa situazione
Dopo tre mesi di didattica a distanza, efficace per alcuni ma non per tutti, abbandonare studentesse e studenti per altri tre sarebbe da parte della collettività un comportamento irresponsabile. Se il Ministero non ha la forza o gli strumenti per occuparsene, faccia appello alle forze della società civile, che se non è educante, se non sa farsi carico delle responsabilità educative nei confronti di bambine e ragazzi, semplicemente non è una società.
Dire che la scuola ricomincia a settembre non è corretto.
La scuola non è un cantiere che apre e chiude. La scuola è un processo che accompagna la costante trasformazione di chi sta crescendo.
Ciascuno cresce solo se sognato, diceva Danilo Dolci. E a noi sembra che gli otto milioni di studentesse e studenti italiani siano stati troppo poco pensati – altro che sognati – da chi avrebbe avuto la responsabilità di farlo. La fase della ripartenza dopo la quarantena non può adesso essere sprecata. La crisi educativa e sociale prodotta da questo anno scolastico spezzato va inserita fra le emergenze da affrontare con maggiore coraggio e decisione.
Il rischio è rendere più dolorose disuguaglianze già esistenti e aumentare la dispersione scolastica. Rimandare decisioni e sperimentazioni concrete a quando sarà troppo tardi per modificarle nel caso siano poco efficaci, sarebbe grave. Lo sarebbe temporeggiare, attendere la riapertura formale di settembre come la soluzione a tutti i problemi, non considerare appieno il fatto che i prossimi tre mesi non sono né possono essere i “soliti” tre mesi di vacanza. E’ evidente che riaprire gli istituti scolastici sia tutt’altro che facile, tanto meno nel corso dell’estate per una serie di difficoltà logistiche e di gestione del rischio sanitario che vanno anche al di là delle norme sul distanziamento fisico.
Ma se abbiamo posto come urgente la riapertura delle fabbriche, delle attività di ristorazione e perfino delle frontiere, è assurdo non affrontare il nodo delle attività educative,
progettando e ripensando – con il corpo docente e le amministrazioni locali, e con il coinvolgimento dell’intera società civile: dei genitori e delle ragazze e dei ragazzi stessi, delle associazioni, dei centri di aggregazione, delle parrocchie, dei volontari – modi, spazi e tempi per “fare scuola” in sicurezza. Occorre sperimentare in vista del prossimo anno scolastico; fare, ovunque questo sia possibile, le prove generali di riapertura in presenza e in sicurezza, stipulando patti territoriali che tengano conto delle specifiche situazioni locali. Occorre immaginare attività didattiche da affiancare a quelle dei centri estivi, per iniziare subito a recuperare il debito formativo accumulato in questi mesi. Occorre farsi carico della fatica emotiva, psicologica e dell’apprendimento che l’interruzione dell’anno scolastico ha prodotto in otto milioni di studentesse e studenti, a maggior ragione in quelli che la “didattica della quarantena” non ha raggiunto o ha raggiunto con minore efficacia.
Francesca Cavallo
Paolo Di Paolo
Alessandro Fusacchia
Maura Gancitano e Andrea Colamedici
Fabio Geda
Paolo Lattanzio
Dacia Maraini
Rossella Muroni
Erasmo Palazzotto
Lia Quartapelle