Fratelli d’Italia all’attacco della 194 in Piemonte
Dopo la recente vittoria ottenuta nella querelle contro le linee guida nazionali sul tema scuola, la giunta Cirio torna a far parlare di sé. Con una mozione proposta dal consigliere regionale Maurizio Marrone, nominato dopo l’arresto del suo ben più noto predecessore Roberto Rosso, esponente di FdI arrestato per voto di scambio con la mafia, la destra sovranista torna ad attaccare la legge 194. Vengono proposti lo stop alla possibilità dei consultori di fornire la pillola Ru486 e l’obbligo di ricovero di 3 giorni in caso di aborto farmacologico, che grazie alla direttiva di agosto del ministro Speranza, in adeguamento alle norme europee in vigore già da due anni, è ora possibile effettuare in regime di day hospital.
Ma facciamo un passo indietro. Prima della delibera di agosto, le linee guida nazionali sulla pillola abortiva Ru486 imponevano la possibilità di utilizzo solo fino alla settima settimana di gravidanza e l’obbligo di ricovero fino alla fine del percorso assistenziale. Col passare del tempo però, diverse regioni decisero di disporre la possibilità di ricovero in regime di day hospital, operando una scelta nel pieno rispetto della tutela della salute della donna, della legge 194 e delle valutazioni clinico assistenziali di professionisti basate sui dati di letteratura internazionale. Tra queste regioni l’Emilia Romagna, la Toscana, l’Umbria e anche il Piemonte. Con le passate elezioni regionali il vento in Umbria cambia decisamente direzione e la nuova Giunta di destra dà subito un colpo di spugna, cancellando la delibera del 2018 e tornando a imporre il ricovero forzato di 3 giorni. Questa scelta verrà ampiamente criticata e il polverone alzatosi spingerà il ministro Speranza a consultarsi con il Consiglio superiore di sanità per aggiornare le linee guida nazionali, consultazione che porterà alla direttiva di agosto dove, alla luce delle recenti evidenze scientifiche, si riterrà opportuno permettere il ricovero in regime di day hospital su tutto il territorio nazionale e la possibilità di interruzione di gravidanza fino alla nona settimana.
La proposta di mozione del consigliere Marrone si basa a quanto dichiarato su di un “espediente” di cui restiamo per ora all’oscuro e viene sbandierata al solito come in difesa della salute delle donne: snocciolando e rimescolando dati Istat sul numero degli aborti farmacologici e relative complicazioni (che si tradurrebbero semplicemente nel dover ricorrere comunque all’aborto chirurgico e che si presentano in un numero molto limitato di casi) la mozione arriva alla conclusione che per garantire la salute della donna non sia necessario ridurre il numero di obiettori di coscienza tra i medici (come più volte segnalato dall’Europa) ma rendere più complicato per la donna accedere all’aborto farmacologico e stanziare più fondi per le associazioni pro-life. Il giornale L’Espresso, venuto in possesso della bozza di risoluzione, ha riportato come vi sia espressa l’intenzione di attivare convenzioni con associazioni di volontariato per inserire personale nella rete piemontese dei consultori. Associazioni di volontariato come il Movimento per la vita, i Centri di aiuto alla vita e il servizio informativo SOS vita, per fare qualche esempio. Insomma soldi pubblici spesi nella galassia dei movimenti pro-life per inserire personale non formato all’interno di situazioni delicate da un punto di vista sia sanitario che umano.
Tutto ciò si inserisce come ultimo tassello in una catena di eventi che ha origine ben prima di quanto detto, per la precisione dal 1978 con la legalizzazione dell’aborto. A partire da questa data in Italia possiamo vedere un continuo tentativo politico di togliere dove possibile sempre più libertà alle donne con qualsiasi mezzo: colpevolizzando le donne stesse, diffondendo falsità e soprattutto ostacolandone la scelta, sia attraverso l’opposizione sorda e costante a qualsivoglia tentativo di supportare la donna in tal senso, sia tramite la complicazione di procedure di per sé semplici, come in questo caso.
Ironico che il giovane consigliere Marrone abbia la delega alle Semplificazioni; forse non sa che la sua mozione complicherebbe e di parecchio la vita non solo alle donne, ma anche ai medici e al servizio sanitario nazionale, sovraccaricandolo in un periodo dove è stato e viene tutt’ora messo alla prova. Non a caso una delle prime critiche è arrivata del cuneese Silvio Viale, presidente del Comitato Nazionale di Radicali Italiani e il ginecologo che avviò la sperimentazione in Italia della Ru486 nel 2005 e che fu tra i primi a somministrarla nel 2010, all’ospedale Sant’Anna di Torino: grazie al suo impegno oggi il Piemonte è al primo posto in Italia per somministrazione della Ru486, un metodo di IVG più sicuro e meno invasivo per la donna. Viale assicura che “Si tratta di un bluff di un assessore di Fratelli d’Italia che non ha la minima idea di cosa stia parlando. Voglio rassicurare tutti che continueremo a dare la Ru 486 in day hospital“.
Dure seppur prevedibili le critiche dall’opposizione: “Basta fare propaganda sulla pelle delle donne, Cirio prenda le distanze da quest’operazione” dice Sarah Disabato per il M5S, mentre Marco Grimaldi di Leu critica l’aver scavalcato l’assessore leghista Icardi, che avrebbe la delega alla sanità: “Il Piemonte guida la crociata contro la pillola Ru 486 e Marrone, mitomane in cerca di visibilità sul corpo delle donne, si traveste da assessore alla Sanità“. Anche il PD è intervenuto con il segretario Regionale Paolo Furia “Sulla Ru486 la Regione Piemonte sta giocando una partita che non ha nulla a che vedere con la tutela della salute delle donne. Sta invece perseguendo una propria battaglia ideologica volta a colpevolizzare le donne che si trovano in condizione di abortire“. Tuttavia, mentre la sindaca Appendino bolla la mozione come “becera propaganda” e l’Ordine dei medici si appella a Cirio perché “non modifichi le linee del ministero”, la critica più stupefacente arriva da un insospettabile Matteo Salvini il quale, spinto probabilmente dal bisogno di non lasciare spazio a FdI, socio sempre meno minoritario che sta lentamente soffiando il posto alla Lega di primo motore immobile della destra italiana, se ne esce con un inaspettato “Lasciamo che siano le donne a scegliere della loro vita e del loro futuro“. Una posizione insolita per il leader della Lega, che deve aver ormai annusato come la causa anti-abortista non riscuota un grande successo di pubblico, se non in piccole cerchie di oltranzisti, decidendo quindi di sacrificare l’ormai indifendibile lotta all’aborto sostenuta fino all’altro ieri per scaricarne il peso sull’alleato pericoloso da far apparire più estremista agli occhi del pubblico moderato a cui Salvini punta da un po’.
Se c’è qualcosa di buono in questa storia è che la mozione non è ancora stata presentata in giunta e difficilmente lo sarà, infatti Cirio ha dichiarato che la mozione non è in programma al momento, insomma una vera e propria butade, se non altro per la valanga di critiche che si è attirata, dagli alleati alle opposizioni passando per l’ordine dei ginecologi. Del resto Maurizio Marrone, membro delle sentinelle in piedi, non è nuovo a colpi di testa in chiave ultra destrorsa: ci piacerebbe ricordare in questa sede la sua difesa di Priebke, le cene con latitanti dell’estrema destra e esponenti dei servizi segreti russi e forse il più colorito di tutti, l’apertura a Torino di un’ambasciata informale per la repubblica di Donetzk, iniziativa sostenuta dall’associazione “Lombardia-Russia” di Gianluca Savoini e inizialmente benedetta da FdI, salvo poi fare marcia indietro dopo che le inchieste della magistratura e il ritrovamento di vario materiale bellico in Piemonte, compreso un missile terra-aria lo scorso anno, resero la battaglia difficile da sostenere pubblicamente. La stessa inchiesta che portò la Digos a perquisire la sede della locale Rebel Firm.
L’aspetto peggiore di tutto ciò è forse la netta sensazione che questa mozione non sia che l’ennesimo segnale di spostamento sempre più a destra della Giunta regionale, con l’ascesa in pochi mesi di Marrone a braccio destro di Cirio e la graduale transizione di quest’ultimo da FI a FdI. Sarebbe insomma una partita tutta politica, giocata sulla pelle delle donne.
Vero è che in Piemonte, regione tradizionalmente laica, libertaria e laboratorio politico di esperienze che assumono in seguito valenza nazionale, la destra agisce come nel resto d’Italia, senza risolvere i problemi ma attaccando ciò che già funziona, in un’ottica sfascista che possiamo osservare sia a livello nazionale (si prenda a esempio la chiusura degli Sprar) sia a livello locale (la lotta sfacciatamente ideologica della Giunta comunale contro lo Zac!) e che oggi si manifesta a livello regionale.
Non mettetevi comodi, il peggio deve ancora arrivare.
Lorenzo Zaccagnini