Fischiato l’inno della Svezia
Visto dall’alto lo stadio di S.Siro, a Milano, è una bacinella di cemento a forma di rettangolo. Il campo di calcio è un ritaglio di verde demarcato da linee bianche e da laggiù il cielo appare con gli angoli rotondi. Sugli spalti sono in ottantamila i tifosi accorsi a sostenere l’Italia che si gioca, con la Svezia, il diritto di partecipare ai prossimi mondiali. Mondiali che coloreranno, con la gioia dello sport più popolare e con il folclore del tifo, la prossima estate. Tutto è pronto, le squadre sono allineate a centrocampo, la scenografia è bellissima e lo stadio è un’unica avvolgente bandiera tricolore. In casa, anche la nonna, prossima ai 93, prende posto davanti alla tv, pronta a celebrare il rito del tifo in chiave azzurra. Al primo accenno dell’inno svedese, però, quello che ingenuamente non ti aspetti succede e un profluvio sonoro di fischi cala sul capo degli sbigottiti svedesi. Invano il nostro portiere, spinto da spirito di sacrosanta ribellione, si sbraccia in un gesto di diniego. L’onda becera si riversa come una fragorosa cascata sul campo, rendendo nitida la sensazione che, anche per questo, l’Italia non ce la farà. Al calcio d’avvio si capisce subito che i giganti svedesi si arroccheranno nella loro area pronti a presidiarla con la stazza dei loro corpi. L’Italia gioca meglio che nella partita di andata persa per uno a zero, le 4 stelle cucite sull’azzurro delle maglie sembrano risvegliare l’amor proprio sopito, ma intanto il tempo scorre veloce e la squadra non segna. Siamo i campioni dell’ultima spiaggia, siamo i viziati del gol all’ultimo minuto, siamo quelli che tracimano grinta solo quando tutto sembra perduto, quindi speriamo. La Svezia stolida però resiste e il tempo vola e dieci minuti sembrano lunghi come uno solo. A metà del secondo tempo, la nonna si alza e dichiara: “Quelli gialli hanno già un gol e quindi io vado a dormire”.
Finisce con l’Italia blasonata che non riesce a qualificarsi come già era successo nel remoto 1958. Calcisticamente parlando è un dramma. La nazionale non riesce a fare neanche un gol agli avversari nei 180 minuti a disposizione. Nelle analisi che seguono si parla di necessaria rifondazione del calcio italiano che deve ripartire da zero. Si chiedono le teste del presidente della Figc Tavecchio e dell’allenatore Ventura. Costui si presenta successivamente agli italiani chiedendo scusa a tutti, non per il gioco espresso dagli azzurri, ma per il risultato. Siamo alla farsa finale intrisa di patetismo. Le scuse di Ventura, così orchestrate artificialmente, sono penose. Per non perdere i soldi dell’ingaggio il tecnico lascerà ad altri il compito di liquidarlo cosa che non avverrà, invece, per il presidente Tavecchio, garantito al suo posto, forse, da un rimasuglio dell’articolo diciotto.
Per ripartire, l’Italia dovrà affidarsi agli ottimisti dall’eterno sorriso già pronti a colorare d’azzurro il domani. Purtroppo non sono le cadute e le sconfitte, pur sgradevoli, che preoccupano quanto gli uomini che le interpretano. Cosa può giustificare l’ottimismo, quando non sono bastati sessant’anni, dall’esclusione del 1958, per capire che non bisogna fischiare gli inni nazionali?
Cosa può l’ottimismo quando il simbolo di questo mondiale mancato saranno forse le lacrime di Buffon a fine gara, ma non il suo sbracciarsi dell’inizio per stigmatizzare lo sproloquio sonoro dei nostri sedicenti tifosi? Cosa potrà l’ottimismo se continueremo a pensare che i fischi all’inno siano l’opera di una stretta minoranza di baluba infiltratisi sugli spalti e non, come invece è avvenuto, della stragrande maggioranza degli italiani presenti? L’ottimismo ha bisogno di sostenitori e di programmi seri.
La Svezia ha meritatamente vinto la sfida, proprio loro i modesti artigiani della palla, mentre noi, campioni di estro e fantasia stiamo a casa. La nazionale con 4 stelle sul petto, che andrà in Russia, sarà dunque solo la Germania.
Qualcuno ha detto che in questa sconfitta l’unica consolazione possibile è pensare che, comunque, ai mondiali avremmo fatto una figuraccia. Non è vero! L’unica consolazione possibile è che, a batterci, sia stata una nazione i cui tifosi sono più civili dei nostri.
Pierangelo Scala