Le nuove guerre si combatteranno non solo sul terreno dei Paesi in guerra: si aprono nuove prospettive inquietanti: la guerra cognitiva
Abbiamo gli occhi fissi sulla guerra in Ucraina.
Le immagini che continuamente riceviamo ci fanno vedere, oltre alla distruzione dei territori e ai morti, gli strumenti di morte con cui avviene: aerei, missili, carri armati, armi leggere, mitragliatori… in altre occasioni si è denunciato l’uso di armi non convenzionali come le armi chimiche, batteriologiche ecc.
Le conosciamo e siamo consapevoli che sono portatrici di morte…Ma in questa epoca dove la digitalizzazione e l’Intelligenza Artificiale stanno mutando il volto della nostra società, si sta stagliando all’orizzonte anche un’altra novità.
Le nuove guerre si combatteranno non solo sul terreno dei Paesi in guerra. Si aprono nuove prospettive inquietanti che vanno però monitorate e fatte emergere. Una di queste viene definita: cognitive war, la GUERRA DELLE MENTI.
Dalle guerre tradizionali alla guerra cognitiva
Da un articolo di i Jonas Tögel si legge di un ampliamento delle aree operative delle guerre.
Se finora si combattevano in mare, terra, aria, spazio, cyberspazio, ecco apparire un nuovo terreno di scontro: la mente delle persone… si parla di GUERRE COGNITIVE, una forma di guerra che non prevede l’uso delle armi e della violenza ma strategie oculate di manipolazione dell’informazione per destabilizzare l’avversario o indirizzare l’ opinione pubblica del proprio paese verso determinate scelte e azioni, senza bisogno di coercizione e facendole apparire frutto di una libera riflessione collettiva.
Il termine guerra cognitiva appare per la prima volta nel 2017 per mano del generale David Goldfein (Capo di Stato Maggiore dell’Aereonautica degli Stati Uniti), e da allora è entrato nel linguaggio di politologi, militari, analisti e neuroscienziati.
Anche l’Alleanza Atlantica ha cominciato a interessarsi a questo aspetto a mano a mano che aumentava la competizione tra grandi potenze.
Tanto che afferma che la mente umana diventerà il nuovo campo di battaglia con l’obiettivo di cambiare non soltanto ciò che le persone pensano, ma anche come lo fanno e agiscono. Il fine è agire sulle rappresentazioni mentali delle persone circa gli eventi accaduti o che dovranno accadere, diffondere determinate emozioni (ansia, paura, rabbia ecc.) in modo che le persone agiscano nel modo desiderato, rendendo più difficile il raggiungimento degli obiettivi tattici o strategici dell’avversario.
Perché e chi la fa?
«La guerra cognitiva mira a costruire e rendere stabili rappresentazioni mentali generalizzate, ossia idee e modi di pensare diffusi nell’opinione pubblica che orientano emozioni, atteggiamenti, ragionamenti, scelte e comportamenti dei soggetti», scrive Roberto Trinchero [1] dell’Università di Torino. È come dire che l’esito di uno scontro dipenderà non solo dalla superiorità della parte ma anche dalla sua capacità di usare i processi conoscitivi e comunicativi sia all’interno che all’esterno del proprio Paese.
Anche se assomiglia alla guerra di informazione o alla propaganda, lo strumento di diffusione non è più la stampa tradizionale, ma canali come i social media globali – Facebook, Instagram, TikTok, Twitter – e i siti di controinformazione che sono più propensi a rilanciare contenuti eclatanti.
Attori di questa nuova guerra possono essere molteplici: istituzioni (es. governi, agenzie governative, servizi di intelligence), imprese, gruppi di interesse, singoli cittadini, i quali entrano in conflitto con altre istituzioni, imprese, gruppi di interesse, singoli cittadini, creando gruppi fittizi con opinioni polarizzate. Tutti contro tutti. Una tipica azione di guerra cognitiva può essere ad esempio la raccolta di informazioni su un candidato alle elezioni (non importa se vere o false) messe in rete o divulgate nel momento più opportuno per denigrarlo o svelare aspetti non conosciuti della sua vita, alimentando polemiche sui media. Ovviamente più la notizia è vera meno sembra l’esito di un attacco di guerra cognitiva.
Un’altra azione è il divulgare informazioni parziali o false su quanto accade attribuendo la colpa all’avversario o provocando reazioni dell’avversario spacciandole poi come gratuite ecc. Ancora Roberto Trinchero elenca le strategie di una guerra cognitiva spesso usate in modo coordinato perché siano più efficaci:
a) la pubblicità, ossia diffondere messaggi il cui scopo molto chiaro è quello di influenzare b) la deception, ossia nascondere i fatti realmente accaduti attraverso varie forme di depistaggio
c) la disinformazione, ossia diffondere notizie infondate al fine di danneggiare l’immagine pubblica di un avversario
d) l’intossicazione, ossia fornire all’avversario informazioni sbagliate allo scopo di fargli prendere decisioni errate
e) la propaganda, ossia impostare la comunicazione di eventi in modo da convincere il maggior numero possibile di persone della bontà di idee, ideologie o scelte.
Nella loro forma estrema, le citate strategie possono dissolvere i legami di interi gruppi o un’intera società, in modo che non si riesca a organizzarsi per resistere alle intenzioni di un avversario, o per ribellarsi a determinate scelte politiche o militari. È il modo migliore per sottomettere una società senza ricorrere alla forza o alla coercizione. Approfondiremo nella seconda parte l’argomento… arrivederci
(fine prima parte)
Nota
[1] R. Trinchero, Contro la guerra cognitiva.Educare allo scetticismo attivo in «Media Education», vol. 9, Edizioni Centro Studi Erickson, Trento 2018