Idee e proposte sul cibo che le associazioni eporediesi avanzano alla politica e che sono emerse durante il primo di una serie di incontri dal titolo “A Ivrea si può fare”
A Ivrea si può parlare di politiche senza timore di dover misurare le parole per paura di perdere consenso elettorale e si può comunicare un’idea di futuro senza dover ricorrere a slogan vuoti di contenuti. A Ivrea si può parlare di cibo e di politica ed è quanto è stato fatto durante la serata di venerdì 26 gennaio allo Zac! in occasione del primo dei cinque incontri attraverso i quali provare ad avanzare idee e proposte per una politica partecipata.
Una premessa era fondamentale: partecipazione, soprattutto da parte di chi concorrerà ad essere amministratore e si può dire che la sala gremita e la presenza di alcuni volti noti della politica cittadina (Perinetti, Fresc, Perini, Vino, Comotto…) abbiano confermato questo presupposto.
Di quanto cibo ha bisogno la nostra città? Da dove arriva e quanto viaggia prima di arrivare nelle nostre case? È garantito a tutti l’accesso a un cibo degno? A quanto ammonta lo spreco alimentare e che cosa possiamo fare per ridurlo?
A queste e ad altre domande hanno provato a rispondere i due relatori della serata, Egidio Dansero (Università Torino) e Patrizia Dal Santo (Gruppo d’Acquisto Solidale Ecoredia).
Risale al 1862 la massima “L’uomo è ciò che mangia” e per quanto siano passati più di 150 anni si può ritenere questa “bussola” sociale ancora attuale, soprattutto se ti tiene in considerazione l’eterogeneo e complesso rapporto che il cibo ha con l’essere umano. «Parlare del sistema del cibo» ha aperto Dansero «vuol dire parlare della produzione per poi arrivare alla distribuzione». Il tema è complesso e durante la serata sono state proiettate slide, numeri e citate buone pratiche (tra cui emerge, vicino a noi, l’Atlante del Cibo di Torino Metropolitana), ma l’elemento che più è saltato all’occhio è il rapporto che il cibo (e tutta la filiera che si porta dietro) ha con le città. «Urbano e rurale sono sempre più interconnesse, per quanto dal punto di vista sistemico le città siano parassitiche, perché prendono la quasi totalità del cibo che consumano da fuori. È stato stimato che di fronte ad un blackout mondiale in grado di bloccare anche i trasporti l’autonomia alimentare di una città si esaurirebbe nell’arco di 4/5 giorni».
La tradizione rurale del territorio canavesano ci permetterebbe di resistere un po’ più a lungo in uno scenario del genere, ma resta valida la domanda: com’è distribuita la produzione agricola e alimentare nell’anfiteatro morenico d’Ivrea? Dal 2010 al 2013 Ecoredia e Legambiente avevano cercato di mettere assieme una serie di dati relativi al sistema produttivo locale e la fotografia che era emersa era stata quella di una produzione molto frammentata, sparsa sul territorio e con un’agricoltura prevalentemente incentrata sulla coltivazione del mais (per altro non destinata ad un uso locale). Durante l’indagine era emersa anche l’immagine di una piccola agricoltura nascente, retta da una nuova generazione di produttori locali, con aziende multifunzionali e attraverso le quali fu possibile dare vita ai primi GAS (Gruppi Acquisto Solidale) locali.
Dalla produzione alla distribuzione il passo è breve, ma per quanto riguarda i flussi di prodotti alimentari si sa ancora molto poco. L’unico dato che emerge è quello legato alle mense scolastiche eporediesi, strettamente legato al tema dell’accessibilità al cibo sano: a Ivrea verrebbero, infatti, forniti più di 2.000 pasti al giorno agli studenti, pochi dei quali a Km0.
Superata la fase descrittiva si è poi passati, sul finire della serata, alla fase prescrittiva, cercando di avanzare proposte e idee che l’amministrazione futura potrebbe (o sarebbe meglio dire dovrebbe) tenere in considerazione:
1. Difendere ciò che resta del terreno agricolo e sfruttare questa variante PRG per arrestare il consumo di suolo
2. Incentivare una riconversione dei terreni da mais (che non ha quasi nulla a che vedere con circuiti di cibo locale), fosse anche solo per andare verso una maggior produzione di grano per creare ad esempio una filiera del pane
3. Approfittare del cambio generazionale delle nuove aziende per incentivare, anche economicamente, nuove aziende giovani
4. Fornire un aiuto, dal punto di vista burocratico, a sostegno della filiera del biologico
5. Mettere mano all’area mercatale dei cosiddetti “contadini locali”, valorizzandola, in quanto i mercanti denunciano trascuratezza e i cittadini poca chiarezza sulla garanzia di acquistare prodotti veramente locali
6. Promuovere interventi di tipo culturale per riavvicinare l’agricoltura alla città
Sei idee perfettamente recepibili a livello programmatico, purché la politica sia in grado di trasformarle in realtà. Le premesse locali, dopotutto, non sembrerebbero così favoreli: i supermercati, sul territorio, sono aumentati e il piccolo esperimento degli orti urbani è stato interrotto. Le associazioni possono promuovere queste idee, rendere più favorevole il cambiamento, ma è evidente che senza l’aiuto della politica locale si continuerà a navigare controcorrente. A voler essere sintetici: da un lato troviamo le idee proposte dalla Green Society, dall’altro lato l’economia politica; in mezzo la politica locale. A lei l’arduo compito di prendere delle decisioni, nell’interesse di tutti quanti.
Andrea Bertolino