Incontro con Rocco Sciarrone, al Polo Universitario di Ivrea
L’aula del Polo l’altra sera, giovedì 16 marzo alle ore 21, raccoglieva un pubblico di teste canute, uomini e donne di quella categoria di anziani che non demordono né rinunciano al piacere di capire e informarsi sugli aspetti controversi del tempo che viviamo. Tra di essi qualche sporadico giovane, ormai quarantenne, e nessun giovanissimo.
Chi si aspettava, dal tema della serata, un discorso generale e magari etico sulla diffusione della corruzione nel nostro paese, sulle sue conseguenze e anche sugli eventuali metodi di contrasto alla stessa, è rimasto inevitabilmente deluso. Infatti il lavoro condotto dal professor Sciarrone rappresenta una ricerca basata fondamentalmente sull’analisi dei dati e sul confronto degli stessi secondo parametri specifici. Un lavoro la cui esposizione poteva anche risultare noiosa, come ha ammesso lo stesso professore, ma fondamentale per inquadrare il fenomeno.
In sostanza il professore, esperto di studi sulla criminalità organizzata e specializzato nell’indagine del fenomeno mafioso, ha premesso che studiare la corruzione è più difficile che studiare le mafie. La corruzione infatti è un fenomeno enorme, complicato e molto eterogeneo sotto la cui etichetta si ascrivono tanto le inchieste che riguardano gli apparati istituzionali quanto quelle che riguardano i piccoli casi di corruzione. Lo studio del professore e dei suoi collaboratori ha tentato di evidenziare unicamente le forme di corruzione che coinvolgono i detentori di cariche politico-amministrative sia a livello locale che regionale e nazionale, un lavoro di estrapolazione e messa a fuoco molto difficile perché le statistiche giudiziarie registrano i casi di corruzione a livello complessivo e senza distinzione tra quelli di natura politica e non. Infatti non esiste il reato di corruzione politica ma quello di corruzione e basta, dice il docente.
Per costruire la banca dati della ricerca si è ricorso alle sentenze della Corte di Cassazione considerate tra gli anni (1995-2015), si è fatto riferimento alle autorizzazioni a procedere emesse dal parlamento e, inoltre, si sono fatte specifiche indagini per ricostruire i percorsi di carriera dei politici coinvolti nelle vicende di corruzione. La ricerca, precisa il professore, non ha mirato tanto alla quantità dei casi avvenuti ma alle modalità con cui sono avvenuti. Da questa premessa in poi, il professor Sciarrone sciorina grafici e statistiche in proiezione di slides da cui emerge l’andamento dei reati nel ventennio considerato puntando l’attenzione sull’anno di “Tangentopoli” e cioè il 1994. Quest’anno segna la linea di demarcazione tra il prima e il dopo e la prima cosa che si nota è che i reati, dopo una lieve flessione iniziale nella fase immediatamente successiva a Tangentopoli, non solo non sono diminuiti, ma addirittura aumentati. In quanto alla distribuzione dei reati, lo studio rivela che le regioni più interessate sono, nell’ordine, la Campania, la Lombardia e la Sicilia.
Sul nome della Lombardia non mancano mormorii di sorpresa nell’aula. Per quanto riguarda le forme della corruzione, al Nord pesano di più le tangenti mentre al Sud i voti di scambio. Dopo Tangentopoli, però, ci sono meno scambi legati al denaro e più scambi legati ad altre modalità come scambi di favori e altri benefici materiali.
Quali sono i settori degli scambi? Soprattutto l’edilizia pubblica e privata. Con chi interagiscono gli attori politici? Con gli imprenditori per il 48% dei casi e poi, a seguire, con i funzionari pubblici, i membri delle organizzazioni criminali, i consulenti e i professionisti in genere. I dati di questi ultimi pesano di più al Nord che non al Sud. Per quel che riguarda la presenza delle donne, nei casi censiti, siamo solo al 2,6 per cento mentre l’età media dei coinvolti è di 65 anni al momento della ricerca e poco sotto ai 50 anni al momento del reato.
A livello di istruzione la ricerca dice ancora che prevalgono i laureati, quindi l’istruzione, di per sé, non frena la corruzione. Altro dato interessante è che, dopo Tangentopoli, solo un politico su quattro smette di fare politica, gli altri proseguono imperterriti. I grafici, dunque, servono soprattutto per capire come i dati della corruzione si muovano nel tempo. Nel complesso si capisce come la corruzione si sia strutturata negli anni ruotando di meno presso i politici e di più presso la criminalità organizzata.
Alla fine c’è tempo per le domande del pubblico e gli arzilli canuti non si risparmiano. Tuttavia, in più di un caso, il professore deve ricondurre gli interventi al tema concernente la ricerca, prescindendo dalle considerazioni etico-emotive legate al fenomeno. Così è lo stesso professore a suggerire al pubblico la domanda corretta che è: “In che misura la corruzione accertata influisce sulla reputazione del corrotto?”
E la risposta, riflesso del nostro tempo, è quanto mai sconcertante. “Nel nostro paese i costi morali si sono continuamente abbassati -dice il professore- quindi, in pratica, la reputazione del corrotto non subisce alcuna svalutazione”. E su questa amara conclusione termina l’incontro.
Pierangelo Scala