Una cronaca e alcune riflessioni a seguito della serata di martedì 28 maggio dedicata ai quattro quesiti referendari della CGIL
È della fine di maggio la notizia che la raccolta firme per la presentazione dei quattro quesiti referendari sul lavoro della CGIL ha superato di gran lunga le 300mila sottoscrizioni. Avviata all’indomani del 25 aprile, l’obiettivo minimo da raggiungere è quello delle 500mila firme, raggiunte le quali i quesiti dovranno poi passare al vaglio della Corte Costituzionale prima di essere sottoposti al voto popolare presumibilmente a giugno 2025. La vera sfida sarà poi convincere circa venti milioni di italiani (ovvero il 50% degli aventi diritto al voto) ad approvare i quesiti referendari, un compito affatto facile considerato l’ormai endemico tasso di astensionismo.
Di questa sfida e dei contenuti dei quesiti della CGIL si è parlato martedì 28 maggio allo ZAC! d’Ivrea durante l’incontro organizzato dall’Associazione RosseTorri in collaborazione con Nuovi Equilibri Sociali e con la CGIL territoriale. Al tavolo dei relatori l’avvocato del lavoro Davide Biava, il neo segretario generale della CGIL di Torino Federico Bellono e la giornalista Rita Cola in qualità di moderatrice.
«Al di là del significato politico dell’iniziativa, mi preme dire che questi quattro quesiti referendari rappresentano una boccata d’ossigeno per il mondo del lavoro e sono centrali per contrastare la precarietà» ha esordito l’avvocato Biava. «Certo la precarietà non si può abolire per decreto, ma i temi che la CGIL pone sono importanti per provare a invertire la deriva negativa del mondo del lavoro». Biava ha poi precisato che i quesiti sono abrogativi (cioè chiedono di eliminare o modificare parti di leggi esistenti) poiché l’ordinamento italiano non prevedere referendum propositivi. Ma cosa chiede, nello specifico, la CGIL? L’avvocato Biava ha provato a fare una sintesi: «I primi due quesiti riguardano il tema del licenziamento. I lavoratori assunti dopo il 2015 in caso di licenziamento hanno diritto solo ad un risarcimento economico e non al reintegro in azienda (anche in assenza di giusta causa) e questa cosa, oltre che essere immorale e ingiusta, genera anche uno squilibrio di diritti tra chi è stato assunto prima o dopo il 2015. Nelle aziende con meno di quindici dipendenti, inoltre, in caso di licenziamento i lavoratori hanno diritto ad un massimo di sei mensilità d’indennizzo nel caso in cui il giudice riconosca illegittimo il provvedimento: il secondo quesito punta ad abrogare il tetto delle sei mensilità lasciando libertà al giudice di rendere più proporzionato l’indennizzo». Il terzo quesito riguarda concretamente il tema della precarietà: «una volta il contratto a tempo determinato era l’eccezione, oggi è diventata la regola e l’abuso che viene fatto di questa tipologia di contratti è sotto gli occhi di tutti. La CGIL chiede la reintroduzione delle causali sin dal primo contratto a termine (a differenza dei dodici mesi di adesso) e l’abrogazione di una norma (introdotta dal governo Meloni) che consente l’introduzione di nuove causali anche tramite accordo diretto tra aspirante dipendente ed azienda, con evidente squilibrio tra le parti». L’ultimo questito, più complesso, riguarda infine il tema degli appalti affermando la responsabilità – almeno patrimoniale – del committente per i danni non coperti dall’INAIL.
Sulle implicazioni politiche dei quesiti referendari è poi intervenuto Federico Bellono, che ha subito cercato di chiarire per quale motivo il sindacato abbia “sconfinato” sul terreno politico. «è evidente che questi referendum avrebbe dovuto promuoverli la politica, ma come sindacato, di fronte alla crisi della sinistra italiana, ci siamo chiesti: se non lo facciamo noi, chi lo farà? Oggi non credo esista una posizione politica che possa realisticamente farsi carico di queste problematiche del lavoro». E tra l’atteggiamento “attendista” (ovvero aspettare che la politica faccia il suo corso) e l’inazione di fronte alle retrocessioni del mondo del lavoro la CGIL ha imboccato una via di mezzo, cercando alleanze in quelle parti della società civile che fanno politica fuori dai palazzi e dai canali tradizionali: «a Torino, a maggio dello scorso anno, abbiamo portato in piazza dodicimila persone con l’aiuto delle categorie di medici e infermieri sul tema della sanità e grazie a quella mobilitazione abbiamo strappato un accordo con la Regione sulle assunzioni del personale medico. Oggi troviamo molte disponibilità sui referendum tra le associazioni che si sono avvicinate all’iniziativa della Via Maestra». Bellono racconta poi le sue impressioni ai banchetti per la raccolta firme: «siamo partiti con i banchetti fuori dal mondo del lavoro, ma pian piano ci stiamo spostando a ridosso dei cancelli delle fabbriche e degli uffici. Vedo delle differenze rispetto qualche anno fa: una volta eravamo più attaccati dai lavoratori e le scene di persone che alzavano la voce e stracciavano opuscoli e volantini erano più frequenti; oggi c’è meno ostilità, ma più indifferenza. Molte persone ci dicono: non so se servirà, ma firmo lo stesso. Ecco, in queste parole c’è tutto il problema della mancanza di rappresentanza politica, perché oggi la maggior parte delle persone non si sente rappresentata da nessuno».
E poi, la domanda delle domande: ammesso che i quesiti superino il vaglio costituzionale, le persone andranno poi a votare? «Con questi referendum proveremo a generare un’inversione di tendenza» ha affermato Bellono «ma come portiamo a votare 20 milioni di persone? Questa partita ha qualche chance di essere vinta se non rimane isolata e specifica della CGIL. Come si comporteranno le opposizioni?»
Giovani, lavoratori, democratici e pentastellati: i grandi assenti della serata, i grandi assenti al voto del 2025?
Provando a uscire dalla mera cronaca, si può dire che la serata sia riuscita e sia stata sufficientemente partecipata, sebbene non priva di alcune considerazioni che possono tornare utili come “termometro sociale e politico”.
Oggi come oggi parlare di lavoro è diventato oltremodo difficile. Sulle grandi testate giornalistiche nazionali e in televisione il lavoro “appare” quasi esclusivamente in occasione delle tragedie mediaticamente significative, ma pochi, anzi pochissimi sono gli approfondimenti e i ragionamenti sulla qualità del lavoro, i contratti esistenti, i salari, le agenzie interinali e altre questioni che sono alla base del nostro vivere quotidiano. La situazione non è certo migliore sui posti di lavoro e nelle aziende: il confronto tra lavoratori spesso si limita alla lettura della busta paga, alla comprensione di qualche aspetto del contratto collettivo nazionale (sempre che ce ne sia uno) e alla lamentela più o meno giustificata delle proprie condizioni di lavoro (turni, orari, straordinari…), ma molto raramente si aprono confronti sul futuro del lavoro e sul “che cosa possiamo fare noi”. La rassegnazione è maggioranza, stemperata in alcuni casi da sindacalisti che credono sinceramente nella “missione” del sindacato, ma che purtroppo operano nell’eterno cortocircuito che vede i lavoratori non fare nulla in attesa che il sindacato si muova e, allo stesso tempo, il sindacato in difficoltà perché i lavoratori non si muovono.
Date queste premesse non soprende il fatto che nonostante la buona partecipazione alla serata mancassero all’appello almeno quattro categorie, due sociali e due politiche: i giovani, i lavoratori, i democratici e i pentastellati.
L’assenza dei giovani e dei lavoratori è la conseguenza della crisi della partecipazione e ha cause profonde, note e ampiamente discusse; che pochi si siano presentati ad un incontro serale non è una novità, ma deve diventare uno stimolo per gli organizzatori (RosseTorri, Nuovi Equilibri Sociali e CGIL) per cercare di capire come sensibilizzare maggiormente queste due categorie in futuro.
L’assenza dei democratici (salvo la presenza di Gabriella Colosso, che ricopre il ruolo di assessora del lavoro) e dei pentastellati del territorio, invece, come si giustifica? La domanda non vuole essere retorica o accusatoria; una rondine non fa primavera e una serata di dibattito non esaurisce il percorso intrapreso, ma la CGIL ha lanciato la sfida e tutte le forze politiche saranno tenute a posizionarsi di conseguenza. Il percorso è ancora lungo, ma come diceva Bellono non si può pensare che di qui al prossimo anno le opposizioni rimangano immobili.
Andrea Bertolino