Il resoconto di una giornata di sciopero in occasione della giornata internazionale delle donne, a Torino
Trasversale. La prima sensazione che accoglie chi arriva nel piazzale antistante la stazione di Porta Susa a Torino è quella della trasversalità. Età, etnie, modalità diverse. E anche i “generi” dietro gli striscioni sono due e non sono pochi gli uomini e i ragazzi che qualche striscione lo reggono pure mentre portano sulle spalle la loro compagna.
Impensabile un tempo, ma oggi indispensabile partecipazione, quella maschile e si respira, il sogno, o meglio, la voglia, di una trasformazione radicale di una società dove 60 famiglie posseggono la ricchezza mondiale.
E poi un’assenza, quella di bandiere e striscioni di partiti e organizzazioni sindacali (hanno aderito i sindacati di base e alcuni settori della CGIL) che conferisce indubbiamente alla giornata primaverile una connotazione di volontà in prima persona.
Nulla di simbolico: condizioni di lavoro e di vita insopportabili, fuori e in famiglia. Punto.
I cartelli e gli striscioni sono fatti “a mano”, colorati (predominanti il nero e il fucsia). Il tema dominante è quello della violenza maschile: secondo Oms il 35% delle donne nel mondo ha subito violenza sessuale o domestica, il 30% è stata vittima di abusi fisici o sessuali da uomini con cui aveva una relazione intima, riportando danni alla salute e il 38% delle uccisioni viene commessa dal partner o da familiari.
Ma il lavoro segue a ruota (“Quando non dovremo accettare stipendi più bassi, quando un figlio sarà una scelta, quando la nostra vita verrà prima del lavoro allora ci sarà da festeggiare”) e così il diritto alla conoscenza (“il sapere è la nostra arma”).
Tante le studentesse, tante le donne arabe e africane che spingono passeggini, tante le donne ormai mature che di queste ragazze potrebbero essere le mamme, forse addirittura le nonne; esponenti dell’area autonoma torinese mamme dei NoTav, cooperative, sindacati di base: la manifestazione è partita alle 16 da piazza XVII Dicembre e si è conclusa alla basilica della Gran Madre, ma la mobilitazione era iniziata fin dalle 10 del mattino (“NonUnaDiMeno a spasso per la città”)
Formula vincente quella dello sciopero, e non della “festa” e la sua dimensione globale, mondiale: sono 54 i paesi che hanno aderito e 300 le piazze e dal 26 novembre scorso a Roma c’è stato tutto il tempo anche in Italia perché il fiume diventasse un oceano.
Sciopero dal lavoro di cura, dal consumo, dalle faccende domestiche (“Se le nostre vite non valgono noi non produciamo e allora scioperiamo”). Una delle ultime stime sul lavoro di cura non retribuito delle donne parla di diecimila miliardi di dollari (il prodotto interno lordo della Cina).
Simonetta Valenti