La vicenda Innovis finora era rimasta, a torto, una questione che sembrava riguardare solo i lavoratori metalmeccanici direttamente colpiti dai ricatti della proprietaria Comdata, ma dall’ultimo sciopero dell’8 novembre qualcosa è cambiato: manifestazioni di solidarietà dalla Slc-Cgil e dai Cobas Comdata.
Innovis è nata nel 2002 da una joint venture tra Comdata e Olivetti Tecnost, un’operazione per collocare altrove lavoratori considerati “esuberi” a seguito di una delle tante ristrutturazioni Olivetti. Oggi Innovis è totalmente controllata da Comdata che grazie a questa acquisizione si è portata a casa una delle sue commesse più importanti, traino in particolare per Ivrea, il 187 di Telecom. Dei lavoratori Innovis però, diciamolo chiaramente, Comdata vorrebbe fare a meno, se non alle sue condizioni, dai tagli salariali alla riduzione dei diritti. Costano troppo, hanno troppi diritti, pensa l’azienda, derivati dal migliore contratto nazionale di lavoro, quello metalmeccanico (rispetto al telefonico) e dagli anni di lavoro. Così, per rimarcare la loro inadeguatezza (sic), Comdata ha da sempre sottoutilizzato i lavoratori Innovis, ha lasciato parte di loro sempre in cassa integrazione, li fatti lavorare con orari ridotti, con i contratti di solidarietà.
Sono ben sette anni ormai che Comdata usufruisce di ammortizzatori sociali per Innovis, senza che abbia fatto nulla in questi anni per permettere il giusto inserimento di questi lavoratori nella casa madre, nonostante non si sia davanti a un’azienda in crisi, tutt’altro! E le acquisizioni crescono, oggi Comdata conta 43mila dipendenti in tutto il mondo. Un colosso. Un colosso che vuol far credere di non poter gestire i 98 dipendenti Innovis oggi rimasti, di non poter procedere con l’assorbimento per incorporazione (art. 47 Legge 428/1990) che consentirebbe il mantenimento delle tutele raggiunte in 20-30 anni di lavoro.
Mantenimento delle tutele? Quante pretese questi lavoratori!
In quanti la pensano così? Sempre meno, fortunatamente.
Infatti mentre fino a qualche tempo fa chi chiedeva più diritti sul lavoro e la salvaguardia di condizioni di lavoro acquisite nel tempo, veniva visto quasi come un ingrato verso il “padrone” che generoso ti dà lavoro, non importa a che condizioni, oggi qualcosa si sta muovendo in altra direzione.
Sempre più lavoratori stanno realizzando che si è superato un limite al ribasso verso la piena libertà impreditoriale di gestire orari, retribuzioni, contratti. Libertà pienamente legali grazie allo smantellamento delle tutele minime che caratterizzano il lavoro dignitoso. Smantellamento iniziato dai governi Berlusconi e poi portato egregiamente avanti dai governi di centro-sinistra con il culmine nel Jobs Act.
Oggi la reazione e la resistenza alle angherie padronali di alcuni piccoli gruppi di lavoratori, nel nostro territorio pensiamo ai lavoratori Vodafone trasferiti per ritorsione a Milano e tornati a Ivrea per ordine del Tribunale, ma anche appunto ai lavoratori Innovis che rifiutano di licenziarsi per essere riassunti come novelli apprendisti in Comdata, questa resistenza fa sì che una lieve e timida reazione inizi a maturare.
La solidarietà
Così è accaduto che in occasione dell’ultimo sciopero dell’8 novembre scorso, Innovis abbia incassato la solidarietà dei colleghi di Comdata “i lavoratori di Comdata, hanno capito che se oggi dicono a noi che costiamo troppo, domani nulla toglie che le stesse considerazioni vengano fatte su di loro“, ci dice Milli Penna, Rsu Fiom-Cgil fortemente impegnata con il suo collega Roberto Caricchi nella difesa dei diritti dei lavoratori Innovis.
Abbiamo così potuto leggere, fatto senza precedenti se la memoria non inganna, un comunicato congiunto dei delegati Comdata Ivrea Slc-Cgil e Cobas del Lavoro Privato dal titolo “Una storia che un po’ ci riguarda…” che dice “I colleghi [di Innovis, ndr] chiedono, secondo noi legittimamente, che il loro passaggio in Comdata avvenga mantenendo quanto hanno maturato in anni di lavoro, ma la direzione aziendale non è dello stesso avviso proponendo loro un passaggio cun una decurtazione salariare. (…) Se Comdata abbassa il livello salariale dei colleghi di Innovis, cosa ci fa pensare che alzerà il nostro concedendo i livelli inquadramentali che si spettano?”
Importante anche il comunicato congiunto delle categorie metalmeccanici (Fiom di Innovis) e telefonici (Slc in Comdata) della Cgil, non sempre, diciamolo, uniti nella stessa lotta, dove possiamo leggere “i colleghi di Innovis, che lavorano a braccetto con le persone di Spa [Comdata Spa, ndr] ad Ivrea, e sono da anni in solidarietà, nonostante sul sito di Ivrea i volumi di attività richiedano addirittura l’impiego di centinaia di interinali.” E ancora “l’Azienda ora sta proponendo ai colleghi di Innovis, che hanno il contratto metalmeccanico, un accordo-capestro per il passaggio in SPA. Tale accordo prevede il passaggio da full time a part time a 30 ore (con indennizzo di 8000 euro [e naturalmente firma tombale per escludere qualsiasi causa legale, ndr]) e il taglio del livello o degli scatti, con una riduzione media degli stipendi del 35% circa!!! In alternativa, licenziamento “volontario” con incentivo o forzato (per chiusura di Innovis), nel caso non si accettino le soluzioni sopra proposte.”
I lavoratori di Innovis infatti parlano da dieci anni ormai di ricatto vero e proprio e gridano con forza “Sì ai diritti. No ai ricatti“.
“Noi crediamo che tale ricatto sia inaccettabile; – continua il comunicato Cgil – dopo anni di Lavoro, che hanno fatto maturare un determinato salario, non è ammissibile che un colosso come Comdata si dica “costretta” a tagliare i costi, mettendo sul lastrico tante famiglie. Noi crediamo piuttosto che ancora una volta l’azienda stia agendo senza alcuna considerazione delle persone, della loro professionalità, della loro dignità.”
Ma Comdata prosegue come se nulla fosse…
Intanto Comdata, neanche da dire, va avanti come un caterpillar come se i lavoratori fossero sassi da schiacciare. Proseguono i colloqui individuali per far pressione sui lavoratori affinché si licenzino. Un fatto davvero inaccettabile è che l’azienda stia chiedendo ai lavoratori una risposta entro i primi giorni di dicembre e chi pensa di licenziarsi (si spera nessuno, nonostante il peso oppressivo) dovrebbe firmare un impegno formale ad andarsene entro il 31 luglio, data di scadenza dell’ultimo ammortizzatore sociale. Viene cioè chiesto ai lavoratori di decidere fra qualche settimana su un futuro che arriverà fra più di sette mesi. Una promessa di licenziamento. Licenziarsi per diventare neo-assunti in Comdata, perdendo anni di conquiste e salario, oppure licenziarsi e basta, con una buona uscita (sempre in cambio della rinuncia a cause legali naturalmente) che dagli 8000 euro iniziali pare sia oggi triplicata, segno delle difficoltà dell’azienda dovute soprattutto alla testardaggine dei lavoratori a voler rimanere tali, ovvero continuare a lavorare, dignitosamente.
Che anche il loro esempio, come quello delle lavoratrici e dei lavoratori Vodafone, possa servire ad aprire gli occhi, ad alzare le teste.
Cadigia Perini