Sabato 23 Giugno è morto Stefano Rodotà all’età di 84 anni. Grande giurista, accademico e politico, la sua produzione culturale è immensa.
Accanto alla partecipazione alla vita democratica italiana, sempre dalla parte della giustizia sociale, ha infatti scritto contributi fondamentali sui temi del rispetto dei diritti umani, della loro dignità, mai riducibile a merce, nemmeno nel cyberspazio, nell’infosfera. Forse una delle dimensioni meno note delle sue molteplici attività è quella dedicata alla complessa interazione tra tecnologie e diritto. Il suo libro, visionario per quegli anni, Elaboratori elettronici e controllo sociale (il Mulino, 1973) ha posto le prime domande cruciali per comprendere la realtà di quella che sarebbe poi diventata l’era dell’informazione. Per arrivare al fondamentale Il mondo nella rete. Quali i diritti, quali i vincoli (Laterza, 2014). Rodotà è tra i primi a porre la questione della transnazionalità del diritto nell’era di Internet e quando, nel Novembre del 2007, presenta a Rio De Janeiro all’Internet Governance Forum dell’ONU, la prima bozza di una “Costituzione per Internet”, la società intera inizia a riflettere su questa dimensione finora riservata alla ricerca accademica: un Internet Bill of Rights.
La prima volta che ci siamo incontrati di persona è stato a Napoli, nell’Ottobre 2006, in occasione della conferenza organizzata dall’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici sugli aspetti etici dell’interazione tra umani, robot e sistemi di intelligenza artificiale. Aprendo i lavori con la sua lezione magistrale ha descritto uno scenario completo su questioni che sarebbero poi diventate oggetto di dibattito pubblico tanti anni dopo: identità digitale, trattamento di dati sensibili, il passaggio dall’habeas corpus all’habeas data. I dati relativi agli umani che diventano il “petrolio del XXI secolo”. Ricordo la mia trepidazione durante la presentazione quando lo vedo in prima fila seduto e attentissimo ad ascoltare il mio intervento sui robot a scala nanometrica. Il più grande piacere però è stato quando ha scritto la prefazione alla nostra prima antologia italiana di etica informatica Etica e responsabilità sociale delle tecnologie dell’informazione (Franco Angeli, 2010) che abbiamo pubblicato con i colleghi Piercarlo Maggiolini e Sebastiano Di Guardo. L’ultima volta che ci siamo incontrati è stato ad Amsterdam nel 2012, quando la International Federation for Information Processing (IFIP) gli ha conferito il “Namur Award” con la motivazione: “per il suo straordinario contributo alla consapevolezza delle conseguenze sociali delle tecnologie dell’ informazione“.
In quella occasione è stata una grande emozione ascoltare la sua lezione sul futuro dell’identità digitale e vedere che anche a livello internazionale la sua statura lo colloca tra i “giganti”. Il suo più grande insegnamento è stato quello di educare a progettare sistemi tecnologici ponendo sempre al centro l’umano, partendo dall’umano, dai suoi diritti, dalla sua dignità. Lo sviluppo tecnologico non deve mai diventare tecno-determinismo: la tecnologia la plasmiamo noi umani. Al dolore per la morte di un maestro e un amico, fonte di ispirazione, incoraggiamento e guida per chi si occupa dei dilemmi etici che emergono dalla complessa interazione tra tecnologia e società, si associa la sensazione di avere la fortuna di poterci collocare “sulle spalle” di giganti come il prof. Rodotà per progettare innovazioni socialmente desiderabili e eticamente accettabili.
Norberto Patrignani
Ivrea, 24 Giugno 2017