In attesa della riapertura dei cinema, quando la luce del proiettore tornerà a incontrarsi con il buio della sala, non rinunciamo ad ampliare la nostra cultura cinematografica. In questo periodo di isolamento e segregazione, sicuri che ormai abbiate dato fondo a quella lista di film che vi ripromettevate di vedere quando ne aveste avuto il tempo, vi veniamo in soccorso con questa rubrica settimanale di consigli cinematografici. Buio in sala e… buona visione!
Love
Regia: Gaspar Noè
Catalogo: Netflix
Paese: Francia, Belgio
Anno: 2015
Presentato fuori concorso al Festival di Cannes dove provocò un certo scandalo per l’enorme quantità di scene di sesso esplicito (oltretutto in 3D) attirando su di sé anche aspre critiche, Love tratta l’amore folle e la successiva separazione di una coppia di ragazzi: Murphy, aspirante regista, ed Electra, artista poco prolifica. La trama ci viene presentata come un lungo flashback di Murphy, ormai convivente con una donna che non ama e un figlio nato per errore, preda di una profonda depressione e con un principio di dipendenza da oppio. Ricevendo una telefonata dalla madre della sua ormai ex ragazza Elettra, preoccupata perché non riesce ad avere contatti con la figlia da mesi, Murphy inizierà a ripercorrere gli eventi che hanno portato alla rovina la sua relazione ormai idealizzata.
Pur nella semplicità della sua trama, il film sconvolge grazie all’accostamento tra introspezione sentimentale e scene di sesso, quest’ultimo vero motore degli eventi, inevitabilmente indistricabile dalla relazione sentimentale. È proprio di questo che il film tratta, come ci viene detto dalle parole del protagonista, che sogna di fare un film d’amore che racconti la natura sentimentale del sesso e quella sessuale dei sentimenti, perché il sesso è troppo importante nei rapporti e troppo spesso al cinema ciò non viene esplicitamente mostrato. Non per nulla il film inizia con una lunga scena muta di masturbazione reciproca della coppia, per darci da subito un’idea chiara di che direzione il film intenda prendere: il film è infatti almeno per metà composto da scene simili, che per alcuni potranno sembrare anche eccessive.
Ma non bisogna farsi ingannare, le scene sessuali, pur superando senza problemi il limite tra erotico e pornografico, non sono mai gratuite e sono ognuna simbolo di una fase in cui la coppia si trova ed esprimono i loro sentimenti reciproci molto meglio e più sinceramente di quanto riescano a fare gli stessi protagonisti tra loro. Grazie alla maestria di Noè, regista da sempre allo stesso tempo estremo ed intimista, con la macchina da presa capiamo benissimo quanto uno sguardo, un gesto, una posizione possano essere saturi di significati, e ciò ci viene successivamente confermato più esplicitamente dallo svolgersi della storia.
E così la relazione che inizialmente viene ricordata da Murphy come l’amore ideale ci appare piano piano sempre più distorta e malsana, piena di droga, tradimenti, sperimentazioni sessuali e litigate da ricovero. Un amore disperato e adolescenziale, il primo folle amore selvaggio vissuto così intensamente da lasciare scottati, che viene trasposto sullo schermo senza dolcificane e risulta così sporco, storto e stupido da sembrare terribilmente vero. Non potremo che empatizzare coi personaggi, che pur risultano sempre più odiosi e squilibrati con lo svolgersi degli eventi, ma in cui chiunque sia stato preda di un primo amore di quell’intensità non potrà che riconoscersi.
Seppure per la quantità di scene esplicite risulti un film decisamente non per tutti, Love rimane la storia d’amore più reale che mai vedrete riprodotta su schermo e un’esperienza di cinema diversa da tutte le altre. Un tipo di cinema che Gaspar Noè conosce molto bene e sta contribuendo a creare, rompendo un tabù per volta e ridando al sesso la centralità che si merita in una storia d’amore.
Gemini Man
Regia: Ang Lee
Catalogo: Amazon Prime
Paese: U.S.A.
Anno: 2019
Will Smith interpreta Henry Brogan, un ex marines che lavora come sicario per il governo americano e che, arrivato all’età di cinquant’anni, decide di ritirarsi e di andare in pensione. O forse, semplicemente, la sua coscienza inizia a farsi sentire. Anche perché un suo vecchio amico gli mette una pulce all’orecchio: l’ultima vittima che Brogan ha ucciso era innocente. Ora che Brogan conosce la verità, però, finisce nel mirino dell’agenzia per cui lavorava. Ma per far fuori uno come lui, ci vuole qualcuno di eguale forza e agilità, se non di più. Qualcuno come lui, ma più giovane. Ed ecco che in Gemini Man assistiamo ad adrenalinici combattimenti tra Will Smith e… Will Smith.
Non è una novità, nel panorama cinematografico, che lo stesso attore compaia in due ruoli diversi nello stesso film. Pensiamo a Nicholas Cage ne Il ladro di orchidee, o Peter Seller nel Dottor Stranamore, o prima ancora Charlie Chaplin ne Il grande dittatore. Allo stesso tempo non è una novità nemmeno vedere lo stesso personaggio o attore combattere contro sé stesso in un film. Tra serie e film con effetti speciali sempre più straordinari, abbiamo smesso di sorprenderci per quello che vediamo.
Ang Lee, regista visionario, ha capito che per sconvolgere lo spettatore, per alzare l’asticella oltre il limite, non è più necessario proporre visionari immagini in 3D (tentativo peraltro già sperimentato con successo ne La vita di Pi), ma anzi – paradossalmente – è necessario fare un passo indietro, abbandonando gli effetti speciali; fare un passo verso la realtà. O meglio, verso una realtà più tangibile. Abituati ai più sconvolgenti combattimenti nello spazio, rimaniamo adesso spaziati da quanta realtà si riesce a portare sullo schermo; abituati alle più orride e stravaganti creature create digitalmente, rimaniamo adesso stupiti di fronte alla perfezione della figura umana. Così semplice, così reale, ma allo stesso tempo così difficile da ricreare (un problema millenario, postosi dagli artisti anche agli albori dell’arte). L’Uomo Vitruviano in questione, Will Smith, ha impegnato l’equipe degli effetti speciali per diversi mesi (in una intervista hanno rivelato che solo per ricreare i pori della pelle in faccia ci hanno messo quattro settimane!), che basandosi sulle immagini della celebre serie Willy il principe di Bel Air ha ricreato da zero il suo avatar, poi applicato sul corpo dello stesso Will Smith, che di fatto ha realmente interpretato entrambe le parti.
Ciò che poteva essere risolto velocemente con alcuni stratagemmi propri dell’arte cinematografica – controfigure, banali campi/controcampi – diventa per Ang Lee un’opportunità per mostrare al pubblico, oltre che ai produttori restii a tali sperimentazioni, a che punto siamo con la tecnica cinematografica. E per trasportare ancora di più lo spettatore nel film, Gemini Man è stato il banco di prova della nuova tecnologia 3D+, una versione potenziata del 3D, a 120 fotogrammi al secondo. Un film standard, di fotogrammi al secondo ne ha 24, Lo hobbit di Peter Jackson, nel 2012, aveva sconvolto il pubblico perché ne aveva 48. Ma 120…
A dispetto di queste peculiarità avvincenti già da sole, la storia ha diverse carenze, in primis la storia non troppo originale e gli interpreti secondari per nulla a livello dei principali. I vari elementi si bilanciano ovviamente, e anche se Gemini Man non è un capolavoro, resta comunque un film rivoluzionario. E vale la pena vederlo.
Giallo Napoletano
Regia: Sergio Corbucci
Catalogo: Raiplay
Paese: Italia
Anno: 1979
Raffaele Capece, interpretato da un sempre grandioso Mastroianni, è un professore di mandolino classico con una gamba rimasta zoppicante a causa della poliomelite contratta da piccolo, e ridottosi a fare il suonatore ambulante a causa dei debiti contratti dal padre, giocatore d’azzardo incallito. Accetterà quindi, obbligato da Giardino (un ottimo Beppe Barra), biscazziere privo di scrupoli, di fare una serenata notturna per una donna misteriosa, dal cui omicidio avrà inizio una serie di delitti in cui Raffaele si troverà immischiato suo malgrado. La verità non sarà tuttavia semplice da capire, e l’intrigo per essere svelato porterà il protagonista indietro ai tempi della guerra. In mezzo a tanta sfortuna forse Capece troverà anche un’inaspettata sorpresa.
Riprendendo gli schemi del classico giallo di matriche hitchcockiana, la figura del protagonista, investigatore occasionale ma intelligente, sarà in perenne contrasto con quella del vice commissario Voghera, istupidita ed assonnata. Seguendo le orme di una tendenza di successo che era emersa dalla metà degli anni Settanta italiani, Sergio Corbucci ritorna all’unione tra giallo e commedia, un filone già ben dissodato da titoli come La donna della domenica e Doppio delitto e che già lo stesso Corbucci aveva percorso appena un anno prima con La mazzetta, sia pure secondo una chiave più piegata al noir. A ben vedere si tratta di un filone che mette in fertile cooperazione tradizione e innovazione del nostro cinema, sposando da un lato la commedia di costumi e caratteri tipica di casa nostra con i nuovi brividi di truculenza garantiti dal neo-giallo anni Settanta. Ovviamente le violenze visive sono fortemente attenuate per via della loro rilettura in chiave di commedia, oltre che per i limiti dell’epoca, ma specie in Giallo napoletano se ne conserva il sostrato con ogni evidenza, radicando la complessa indagine intorno a una serie di morti misteriose che affondano il loro intricato movente in un atroce trauma del passato.
Con questo giallo classico arricchito da notevoli spazi comici Sergio Corbucci firma un’altra bella pellicola perfettamente godibile anche oggi nonostante l’età. Un film che racconta una Napoli oscura, lontana dal suo ambiente caldo e solare, immersa in un’atmosfera imperscrutabile e per questo forse ancora più malinconica e affascinante.
Oltre al protagonista anche gli altri personaggi funzionano, da Pozzetto nella parte del commissario che dona una certa ironia ad un Peppino De Filippo (alla sua ultima interpretazione) che seppur appaia nella parte secondaria del padre di Raffaele lascia sempre la sua impronta esplosiva, fino a una bellissima Ornella Muti che sembra nascondere parecchio.
Divertente con intelligenza e sarcasmo e dotato di una trama che non annoia mai, Giallo Napoletano è una commedia dal sorriso amaro in salsa partenopea con tutto il profumo e il fascino misterioso di un vicolo scuro.
A cura di Pietro Pedrazzoli e Lorenzo Zaccagnini