In attesa che la luce si rincontri col buio

In attesa della riapertura dei cinema, quando la luce del proiettore tornerà a incontrarsi con il buio della sala, non rinunciamo ad ampliare la nostra cultura cinematografica. In questo periodo di isolamento e segregazione, sicuri che ormai abbiate dato fondo a quella lista di film che vi ripromettevate di vedere quando ne aveste avuto il tempo, vi veniamo in soccorso con questa rubrica settimanale di consigli cinematografici. Buio in sala e… buona visione!

 

La grande scommessa (The big short)

Regia: Adam McKay
Catalogo: Netflix
Paese: U.S.A.
Anno: 2015

Se fino al 2015 Adam McKay era conosciuto solo per commediole demenziali all’americana, La grande scommessa segna il passaggio verso una regia più seria e matura nelle tematiche, oltre a sancire una collaborazione proficua con Christian Bale che proseguirà con il più recente Vice – L’uomo nell’ombra, biografia non ufficiale di Dick Cheaney.
Tratto dal libro Il grande scoperto: la folle scommessa che ha sbancato Wall Street, il film racconta le storie di coloro i quali per primi previdero il crollo del mercato immobiliare americano e la conseguente crisi finanziaria globale del 2008, traendone sì enormi profitti ma con la consapevolezza che il disastro che ne sarebbe seguito avrebbe sconvolto il mondo.
Non è facile parlare di economia e finanza in maniera precisa senza risultare mortalmente noiosi, ma McKay ne è consapevole e stupisce tutti riuscendo a spiegare ogni passaggio in maniera puntuale e comprensibile, risultando al contempo spiritoso grazie a numerosi momenti in cui i personaggi rompono la quarta parete ma soprattutto ad alcune trovate geniali, come far spiegare allo spettatore il concetto di mutuo subprime da Margot Robbie nuda in una vasca da bagno.
Pur rimanendo sostanzialmente un film divertente (non è un caso che la storia parli di quei pochi che dalla crisi guadagnarono miliardi, unica prospettiva possibile perché il film non risulti un dramma sociale), il quadro che delinea del crollo economico del 2008 in particolare e del sistema capitalistico-finanziario in generale è terrificante. Nonostante ci piaccia pensare che sia tutta colpa di avidi finanzieri in giacca e cravatta che manovrano tutto come abili burattinai, la situazione è ben più terribile nel suo orrore quotidiano: un sistema fatto di tanti piccoli passaggi a loro volta gestiti da tanti grandi e piccoli attori, ognuno mosso da un’avidità arrogante e al contempo miope, in grado di vedere solo il proprio immediato guadagno senza preoccuparsi dell’effetto che avrà sul sistema a livello macroscopico dai proprietari di banca interessati solo al proprio profitto fino alla spogliarellista con cinque mutui accesi, meno colpevole ma egualmente accecata da un arricchirsi fin troppo facile.
Una critica all’individualismo americano e al capitalismo, che nel loro guardare solo al proprio guadagno portano inevitabilmente a un crollo totale del sistema, un messaggio sulla necessità di una visione globale e su come l’avidità non sia solo un problema etico, ma un vero e proprio danno prima per gli altri e alla fine anche per sé stessi, un investimento fallimentare.
La grande scommessa è un film incredibilmente attuale, sia perché la crisi economica che ci aspetta viene spesso paragonata a quella del 2008, ma soprattutto per un insegnamento fondamentale e sempre valido: se in una transazione economica guadagni molti soldi, ma non sai cosa stai vendendo, probabilmente la merce sei tu.

La promessa dell’assassino (Eastern promise)

Regia: David Cronenberg
Catalogo: Amazon Prime
Paese: U.K., Canada, U.S.A.
Anno: 2007

La carriera di David Cronenberg si può dividere in due fasi: la prima, dagli esordi fino al Duemila, caratterizzata prevalentemente dalle produzioni fanta-horror che l’hanno reso famoso (Videodrome, Scanners, La mosca, Il pasto nudo), e la seconda, dal Duemila ad oggi, con produzioni meno estreme, ma non per questo meno interessanti, come A history of violence, A dangerous method e Eastern promise (La promessa dell’assassino).
Eastern promise è il primo film di Cronenberg girato interamente fuori dal Canada, ambientato in una Londra controllata dalla mafia russa: Naomi Watts interpreta Anna, un’ostetrica che rimane sconvolta dalla tragica morte di una quattordicenne.
Oltre a una bellissima bambina, la causa della sua emorragia, la ragazzina aveva con sé un diario scritto in russo, che Anna cercherà in tutti i modi di decifrare pur di rintracciare la famiglia a cui affidare la bambina. La sua ricerca della verità finirà inevitabilmente per pestare i piedi a persone poco raccomandabili, mettendo in serio pericolo la sua vita, quella della sua famiglia, e quella della bambina. In suo aiuto interverrà Nikolai, un ambiguo Viggo Mortensen, autista agli ordini di un boss mafioso.
Come già accennato, Eastern promise ha ben poco della visionarietà visiva dei primi film del regista, ma presenta una trama più lineare e inquadrature più classiche. Ed è proprio in questo “classicismo” stilistico che Cronenberg inserisce le sue tematiche più care, oltre che una violenza ancora più incisiva perché realistica: il tema del corpo e della mutazione (in poche parole il tema della fisicità) che in Scanners portava all’esplosione di teste e ne La mosca trasformava Jeff Goldblum in un ripugnante insetto, qui trova spazio sotto pelle (come sotto lo stile classico sono nascoste le tematiche cronenberghiane), nei numerosi tatuaggi che costellano il corpo di Viggo Mortensen, o nella straordinaria scena della sauna – forse una delle scene più belle e iconiche della storia del cinema contemporaneo. Per questo film Viggo Mortensen è stato candidato all’Oscar, e nonostante il gran numero di omicidi nel film, il vero delitto è stato non darglielo.

Devil’s knot – Fino a prova contraria

Regia: Atom Egoyan
Catalogo: RaiPlay
Paese: U.S.A.
Anno:2013

West Memphis, Arkansas. 1993. Tre bambini in bicicletta scompaiono in un bosco. Dopo una lunga ricerca, i corpi tumefatti vengono ritrovati: sono stati affogati, e hanno le mani e i piedi legati con i lacci delle scarpe. Un delitto efferato, atroce, con ben poco di umano; ed è per questo che la polizia, ma soprattutto la comunità della cittadina rurale e religiosa, punta il dito verso la risposta più irrazionale ma allo stesso tempo rassicurante: sono stati tre adolescenti, accusati di far parte di una setta satanica. L’arresto, poi gli interrogatori ed infine le confessioni estorte: i tre si dichiarano innocenti, ma vengono comunque condannati all’ergastolo. Salvo essere rilasciati dopo 18 anni…
Con il tempo, quello dei “Tre di West Memphis” è diventato un caso piuttosto famoso nella cultura americana: star come Eddie Vedder, Marylin Manson, Peter Jackson e Johnny Depp – che ha addirittura stretto amicizia con uno dei ragazzi arrivando a farsi sul braccio lo stesso tatuaggio – si sono fin da subito schierati a favore dei tre ragazzi, e pian piano anche il resto dell’opinione pubblica. Tra il 1996 e il 2000 vennero realizzati due documentari targati HBO (Paradise lost: the child murders at Robin Hood Hills e Paradise lost 2: revelations) e nel 2012 un altro documentario prodotto da Peter Jackson, West of Memphis.
È complicato, anzi impossibile, raccontare il finale mai emerso di una storia realmente accaduta, ed è complicato, anzi impossibile, realizzare un film su una storia già raccontata così tante volte. Qualcuno potrebbe addirittura chiedersi il motivo, di una scelta così azzardata. Anche perché a vederlo come thriller, Devil’s knot non funziona. Ma quello che Atom Egoyan vuole raccontare non è l’omicidio, bensì il processo; non vuole ripercorrere gli eventi di quella notte, non vuole mettere in ordine le testimonianze e collegare le prove – come hanno invece fatto i vari documentari, – ma vuole fare luce sul più grande errore giudiziario della storia degli Stati Uniti. La particolarità di un film come Devil’s knot è quella di riproporre una storia nota e già raccontata, provando ad avanzare ipotesi, numerose ipotesi, sul cono d’ombra che ancora oggi non è stato illuminato, e analizzando la storia dei tre ragazzi mettendo in risalto il loro lato più umano, spesso taciuto o addirittura annichilito dalla mentalità conservatrice della comunità.
Ed ecco che il film acquista il suo senso più compiuto se inserito nel discorso che Atom Egoyan porta avanti da sempre con la sua cinematografia: l’innocenza violata e l’esplorazione della parte più oscura dell’animo umano. Questo tema a lui così caro è probabilmente legato alle sue origini armene: «Quando da ragazzino cresci all’ombra del più orribile dei crimini, il genocidio; quando l’orrore è successo ai tuoi nonni e ti rendi conto che i perpetratori del crimine ancora negano che sia successo, questo ti segna per sempre,» racconta il regista in un’intervista al festival di Cannes. «Cresci pensando che ci sono cose orribili che possono accadere, che la giustizia può essere manipolata. Anche il tema di come convivere con la perdita appartiene al mio vissuto […] Nelle famiglie spezzate racconto la metafora del genocidio, è un tema ossessivo che appartiene alla mia cultura, alla mia identità.»

A cura di Pietro Pedrazzoli e Lorenzo Zaccagnini