Gli antiabortisti devono andarsene. Grande vittoria per i movimenti, ma la battaglia è ancora lunga.
La famigerata Stanza dell’ascolto all’ospedale Sant’Anna di Torino, regalo della Regione ai movimenti antiabortisti e ariete di sfondamento per portare la propaganda pro-vita nelle strutture sanitarie, dovrà chiudere. Accolto il ricorso al Tar presentato da Cgil e dal movimento Se non ora quando? di Torino: l’accordo tra Città della salute e i movimenti antiabortisti è illegittimo.
Un giusto epilogo per la vicenda e una giusta ricompensa per la grande mobilitazione dei movimenti sociali, impegnati ormai da diversi anni a contrastare le derive medievaliste portate avanti dalla giunta regionale e in particolare dall’assessore di Fratelli d‘Italia Maurizio Marrone, da sempre il più attivo nel mettere i bastoni tra le ruote all’autonomia corporea di ognunə.
«La grande mobilitazione regionale contro la stanza dell’ascolto ha saputo fare grandi pressioni e ha vinto – commentano dal movimento transfemminista Non una di meno –. Dopo la grande giornata di lotta del 28 settembre, in cui dopo 40 anni dall’ultima occupazione centinaia di donne, persone trans+ e alleatə hanno occupato per un pomeriggio la struttura ospedaliera denunciando la gravità di un presidio antiabortista all’interno di un ospedale pubblico, le mobilitazioni per un aborto libero sicuro e gratuito sono continuate in tante forme, tra cui il ricorso al Tar che oggi ne ha decretato l’illegittimità. Salutiamo con un grande sorriso l’assessore Maurizio Marrone che tanto si è speso per questo abominio e porta a casa l’ennesimo buco nell’acqua. La lotta per un aborto libero, sicuro e gratuito per tutte non finisce qui. Adesso smantelliamo pezzo per pezzo il fondo Vita nascente, pretendiamo il rifinanziamento dei consultori pubblici, l’applicazione della legge regionale sulla contraccezione gratuita, la somministrazione della pillola Ru486 in tutti gli ospedali e consultori».
«Esprimiamo soddisfazione per la decisione presa dai giudici – comunicano Elena Ferro, segretaria della Cgil Torino, Anna Poggio, segretaria della CGIL Piemonte e Laura Onofri, presidente dell’ associazione Se non ora quando? Torino –. Questa sentenza difende il diritto delle donne di decidere in libertà del proprio corpo, come sancito dalla legge 194 che regolamenta dal 1978 l’interruzione volontaria della gravidanza».
La sentenza rappresenta una netta battuta d’arresto per l’ondata antiabortista piemontese, iniziata nel 2020 proprio dall’allora neo assessore Marrone con il divieto per i consultori di fornire la pillola per l’aborto farmacologico Ru486, e continuata con il Fondo vita nascente (1 milione di euro l’anno per le associazioni antiabortiste) e la Stanza dell’ascolto. Una sconfitta che non segna però la fine della battaglia: similmente a quanto accaduto negli ultimi tempi con il dl Sicurezza, non ci si può aspettare di fermare le ondate reazionarie grazie al potere giudiziario. Al massimo si possono rallentare. La lotta deve continuare anche e soprattutto nelle strade, nelle piazze, dentro e fuori ai palazzi del potere. Chissà se, senza una mobilitazione popolare forte e decisa come quella vista in questi anni, il giudizio del Tar sarebbe stato lo stesso.
In questi ultimi anni la visione del mondo reazionaria e vetero patriarcale, fino a 10 anni fa in netta fase regressiva, è tornata a imporsi grazie al risorgere dell’estrema destra: feticismo acritico per la famiglia etero patriarcale, spauracchio della sostituzione etnica, demonizzazione di tutto ciò che ha a che fare con gli ultimi 50 anni di studi di genere.
Del resto non stupisce l’ossessione dell’estrema destra, non solo italiana, per la procreazione: il recente decreto flussi, con il quale si aprono le porte a 500mila lavoratori stranieri, dimostra ancora una volta come il governo Meloni sia consapevole che non risolveremo il calo demografico italiano con le misure da operetta fascisteggiante dell’assessore Marrone, che alterna sparate moraliste e limitazioni all’autonomia corporea a ridicole mancette per pochi fortunati, come il Fondo vita nascente e il bonus Vesta. La verità è che il governo vuole braccia: braccia per i campi, braccia per l’industria, braccia per l’esercito. Tassativamente a basso costo.
Non stupisce in questo senso che il corpo delle donne e l’autonomia su quest’ultimo rimangano ancora oggi un campo di battaglia.
Lorenzo Zaccagnini