Che la scuola fosse un caos – anzi, che essa si potesse indicare con l’acronimo C.A.O.S (Centro di Accoglienza /Assistenza con l’Opzione allo Studio) – lo sapevamo già da tempo. E che da almeno tre lustri a questa parte risulti quasi impossibile bocciare un alunno (si vedano le percentuali dei respinti in continuo calo nella secondaria di primo e di secondo grado), anche questo è purtroppo largamente risaputo da chi vive nella scuola e di scuola. Ciò si deve in buona parte al sacrificio della qualità, cioè dell’elemento più caratterizzante della scuola e della cultura, sull’altare della quantità.
La quantità non riguarda solo l’aumento del numero di allievi per classe, ma anche l’accrescimento delle incombenze burocratiche squalificanti per tutti gli abitanti della scuola, dai dirigenti a tutto il personale Ata e ovviamente anche per i docenti. Su questi ultimi, che gestiscono quotidianamente il rapporto diretto con gli studenti, cade un numero imprecisato di responsabilità. Per poter assolvere a tutte queste mansioni aggiuntive, che nulla hanno a che fare con la programmazione e con l’approfondimento didattico, essi sono costretti a ridurre o quanto meno a economizzare l’energia che ogni singola ora di lezione richiederebbe. Questa economizzazione, per di più imposta di recente soprattutto con l’introduzione dell’Alternanza scuola-lavoro, sul piano della didattica si traduce in semplificazione e in elementarizzazione, vale a dire, di fatto, nella negazione di quella complessità che ogni disciplina necessariamente comporta e che dovrebbe costituire un momento formativo per eccellenza. È sul rigore richiesto da una siffatta complessità, infatti, che gli alunni dovrebbero formarsi ed educarsi. Invece le contingenze economiche e ideologiche costringono la scuola a quella economizzazione semplificante, quantificante e quindi squalificante il cui risultato non può essere che la superficializzazione nella preparazione, nella cognizione e nella competenza.
In tal modo, il sapere acquisito dai nostri giovani sarà sempre più approssimativo e appariscente, salvo il caso di quei pochi studenti particolarmente curiosi e interessati che alla fine degli studi universitari si recheranno all’estero per vedere riconosciuti il loro merito, tanto e fin troppo sbandierato dall’ultima riforma della scuola.
Ma il nozionismo scolastico, per di più ostentato e pertanto presuntuoso, è il presupposto di ogni totalitarismo (si osi a tal proposito dare un’occhiata al Mein Kampf), il cui vero obiettivo consiste nel rendere i giovani una massa informe e poco informata, un insieme acritico di individui incapaci di capire dove risiedono il bene e il male. A questo compito, volente o nolente, sembra assolvere oggi la scuola, sia pubblica sia privata. Sicché, mentre una grande massa di studenti frequenterà questo tipo di Centri di Accoglienza/Assistenza, altri baldi giovani, figli dell’attuale aristocrazia, avranno automaticamente la possibilità di andare a studiare in college d’élite, in modo da essere pronti a seguire le orme dei propri padri nelle leve del potere.
Ben sapendo, ovviamente, dell’abbassamento di livello culturale persino tra gli scranni parlamentari. Che la crisi economica abbia accelerato il processo di rifeudalizzazione sociale in corso da una quarantina d’anni, è chiaro e lampante. Ma forse non ancora abbastanza per creare quello sgomento e quello sdegno che una tale retrocessione storica dovrebbe suscitare. Molti sono i modi in cui si evidenzia una tale regressione in tutti gli ambiti della società civile. Nello specifico, per quanto concerne la scuola, certamente degno di nota è il recente intervento del Tar del Friuli in merito al ricorso di in genitore contrario alla bocciatura del proprio figlio in seconda media. Annullando questa bocciatura, i giudici hanno praticamente assestato l’ennesima batosta sulla classe docente. Oltre a determinare un invitante precedente, essi hanno gettato sugli insegnanti quel discredito di cui certi politici si sono serviti in questi anni di riflusso per smussarne la nota capacità oppositiva e critica. E non potrebbe essere certo l’Italia il paese in cui, a questo punto della situazione creatasi con quel contenzioso, il ministro dell’Istruzione intervenisse in difesa dei professori e rigettasse a sua volta la sentenza del Tar.
Franco Di Giorgi