L’odissea dei migranti. Di chi la colpa? Responsabili solo i governi? Siamo davvero innocenti noi cittadini? Una riflessione del professor Giovanni Savegnago che riceviamo e pubblichiamo
Può essere non del tutto inutile – nei tempi calamitosi che ci tocca vivere, e nel momento in cui, quasi quotidianamente, siamo raggiunti da notizie e immagini agghiaccianti relative alla sorte di coloro che, nel tentativo di sfuggire a un destino di miseria, oppressione e persecuzione la cui responsabilità ricade in larga misura sulle politiche imperialistiche condotte dai Paesi occidentali negli ultimi due secoli almeno, provano a ricostruirsi una prospettiva di vita dignitosa in terre lontane da quelle di origine – tornare a riflettere su un tema “impolitico” che molti di noi tuttavia avvertono essere di primaria importanza: il tema della “colpa”.
A questo proposito penso possano tornare utili alcune considerazioni sviluppate dal filosofo tedesco Karl Jaspers al termine della seconda guerra mondiale e raccolte in uno scarno ma intenso volumetto pubblicato in Germania nel 1946, La questione della colpa. Sulla responsabilità politica della Germania (edito in Italia dai tipi della Raffaello Cortina), da ogni pagina del quale trasuda l’urgenza dell’autore di fare i conti, in quanto cittadino tedesco, con i crimini ordinati negli anni precedenti dal governo del proprio Paese ed attuati da tanti dei propri connazionali.
Nato nel 1883 a Oldenburg, in Bassa Sassonia, di formazione scientifica (laureato in medicina, psicologo e psicoterapeuta), a partire dagli Anni Dieci del Novecento si volge allo studio della filosofia, e viene oggi considerato uno dei maggiori rappresentanti dell’esistenzialismo europeo. Sebbene “ariano”, a partire dal 1938, in quanto sposato con l'”ebrea” Gertrud Mayer, la sua posizione si fa molto delicata: avendo rifiutato di separarsi dalla moglie, come impostogli dal regime, viene espulso dall’università e impossibilitato a pubblicare in Germania. Da quel momento e per tutta la durata della guerra vive con la moglie in semi-clandestinità a Heildelberg, in continua apprensione per il possibile arresto da parte della Gestapo; fanno loro “compagnia”, in quegli anni, due pasticche di cianuro con le quali suicidarsi per non cadere vivi nelle mani dei nazisti. Sfuggito fortunosamente alla cattura grazie all’arrivo degli Americani, dopo la pubblicazione del volume di cui stiamo parlando Jaspers, convinto della scarsa disponibilità dei tedeschi di fare fino in fondo i conti con le loro responsabilità nell’ascesa al potere di Hitler, abbandona la Germania stabilendosi a Basilea, in Svizzera, dove rimane fino all’anno della sua morte, il 1969.
La situazione storica affrontata da Jaspers – il regime nazionalsocialista e i suoi incancellabili delitti – è naturalmente del tutto diversa, sia detto in modo chiaro e con forza una volta per tutte, da quella attuale, italiana e/o europea. Tuttavia almeno alcune delle sue considerazioni non possono mancare di risuonare come attuali. Vediamo quali.
Sintetizzando brutalmente (e di conseguenza impoverendo) l’acutezza e la profondità del pensiero jaspersiano, per riconoscere la colpa (e pentirsene), Jaspers ritiene sia necessario distinguere fra quattro livelli di colpa: colpa criminale, colpa politica, colpa morale, colpa metafisica.
1. La COLPA CRIMINALE è quella di coloro che hanno personalmente commesso crimini o vi hanno in qualche modo attivamente collaborato. Riguarda cioè individui che hanno compiuto azioni «che trasgrediscono leggi inequivocabili». La colpa criminale, in altri termini, riguarda l’ambito giudiziario, è quella cioè che viene affrontata e giudicata nei tribunali (nel caso specifico il tribunale di Norimberga) chiamati ad esaminare fatti oggettivi e a valutarne la responsabilità individuale dei singoli imputati. «Dinanzi al tribunale non sta il popolo tedesco, ma stanno “singoli tedeschi” accusati di delitti»
precisa Jaspers. E ancora: «Le persone sospettate non vengono accusate […] in linea generale, ma per delitti determinati […]: delitti contro la pace […]; delitti di guerra […] delitti contro l’umanità».
È del tutto evidente che non è questo il tipo di “colpa” che molti di noi avvertono più o meno oscuramente gravare sulla propria coscienza in queste settimane, mesi, anni. Diverso è il discorso per quanto attiene agli altri tre tipi di colpa.
2. La COLPA POLITICA (ovvero la responsabilità politica) «consiste nelle azioni degli uomini di Stato e nell’essere cittadini di uno Stato […] Ciascuno porta una parte di responsabilità riguardo al modo come viene governato». Ciò significa che si è coinvolti, in quanto cittadini, in tutto quello che il nostro Stato fa; significa che siamo responsabili di quello che il nostro Stato ha fatto se ne abbiamo sostenuto il governo col nostro voto e il nostro consenso: «Un popolo
– sostiene implacabilmente Jaspers – è responsabile per la propria forma di governo». Concetto ribadito con parole solo leggermente diverse poche pagine dopo: «Ogni cittadino è corresponsabile delle azioni che vengono commesse dallo Stato al quale appartiene».
È evidente che qui non siamo più, come nel caso precedente, di fronte a responsabilità individuali, bensì collettive: «Dovremmo noi tedeschi essere ritenuti responsabili [anche] dei misfatti che sono stati consumati contro di noi da tedeschi o ai quali siamo sfuggiti quasi per miracolo? Sì , nella misura in cui abbiamo tollerato che sorgesse presso di noi un regime di tal genere».
Per comprendere pienamente quanto ci interroghi direttamente la denuncia jaspersiana si provi mentalmente a sostituire ai “misfatti” a cui allude Jaspers altri sia pur meno gravi misfatti dei giorni nostri…
3. La COLPA MORALE rientra nella sfera individuale e riguarda quello che ciascuno di noi, personalmente, ha fatto o non ha fatto di fronte ai crimini, alla violenza, alle persecuzioni, alle discriminazioni. Abbiamo continuato a farci i fatti nostri: perché? per paura? per evitare conseguenze alla nostra famiglia? perché abbiamo condiviso l’opinione comune che gli ordini vadano sempre eseguiti? perché abbiamo pensato di essere impotenti, troppo deboli e insignificanti, per contrastare
l’enormità dei crimini? E chi sono i “colpevoli”? su chi ricade cioè la colpa morale? Su «tutti coloro – risponde Jaspers – che danno spazio alla coscienza e al pentimento. _Sono colpevoli nel senso morale coloro che sono capaci di espiazione, coloro che pur sapendolo, o pur in condizioni di poterlo sapere, intrapresero una via che essi, nel loro autoesame, vedevano condurre all’errore colposo, sia che nascondessero a se stessi comodamente quel che accadeva, sia che si lasciassero stordire e sedurre, o che si vendessero per vantaggi personali, o che obbedissero per paura».
Tra le varie forme assunte da questo “nascondimento”, passate analiticamente in disamina da Jaspers, ricordiamo qui solo quella che egli definisce la falsa coscienza: «La mia coscienza mi ha tratto in inganno […]. Credevo di sacrificarmi per le mete più alte, credevo di desiderare il meglio…», si giustifica il tedesco sconfitto. È trasparente qui il richiamo, anche se non dichiarato esplicitamente, alla distinzione introdotta un quarto di secolo prima da Max Weber in La politica come professione (1919) tra etica delle intenzioni e etica della responsabilità, quest’ultima fatta propria da Jaspers: per la prima sono colpevole solo se volevo fare il male, per cui non ho nessuna colpa se non volevo farlo; per la seconda io sono responsabile delle conseguenze della mia azione anche se non ne avevo intenzione. Concretamente, se volgo altrove lo sguardo (o cambio canale televisivo) mentre viene compiuta (mostrata) una violenza, un’aggressione, ne divento responsabile anche se non avevo nessuna intenzione di favorirla ma volevo solo tenermi fuori dai guai (o non guastarmi l’appetito).
4. Infine, la COLPA METAFISICA. Questa può essere percepita solo da chi si sente parte dell’universo umano, da chi sente gli altri esseri umani come membri della propria tribù, da chi sente un’offesa ad un altro essere umano come un’offesa a se stesso. «La colpa metafisica consiste nel venir meno a quell’assoluta solidarietà con l’uomo in quanto uomo. È una pretesa incancellabile, anche quando le esigenze ragionevoli della morale sono già cessate. Questa solidarietà viene lesa quando io mi trovo ad essere presente là dove si commettono ingiustizie e delitti. Non basta che io metta a rischio con ogni cautela la mia vita per impedirli. Una volta che quel male ha avuto luogo e io mi sono trovato presente e sopravvivo, dove un altro viene ucciso, in me parla una voce che mi dice che la mia colpa è il fatto di essere ancora vivo».
Concludiamo con un’ultima citazione dal testo di Karl Jaspers: «Fra la nostra popolazione molti erano indignati, molti furono presi da un terrore in cui c’era già il presentimento della futura sventura. Ma furono in numero anche maggiore coloro che, senza scomporsi, continuarono nelle loro attività, nei loro svaghi e divertimenti, proprio come se niente fosse accaduto».
Così andavano le cose in Germania, ottant’anni fa. Ma oggi, certo, è tutto diverso…
Giovanni Savegnago, Docente di Filosofia al Liceo Classico e
Internazionale “C.Botta” di Ivrea