Il fascino discreto della delega

La tendenza alla deresponsabilizzazione come radice della psicosi securitaria

Il 20 settembre Giacomo Gobbato, ragazzo di 26 anni attivista del centro sociale Rivolta di Marghera, è stato ucciso con una coltellata nel tentativo di difendere una donna vittima di un tentativo di rapina. La sua appartenenza al centro sociale probabilmente è ciò che ne ha protetto la memoria, che gli ha evitato almeno in parte di essere fagocitato dal tritacarne mediatico della propaganda securitaria ormai imperante in Italia.
È morto perché ha scelto di non voltarsi dall’altra parte, perché ha scelto di non delegare a qualcun altro la risoluzione di un problema. È proprio la questione della responsabilità personale su ciò che accade davanti ai nostri occhi uno dei temi meno trattati quando si parla di sicurezza.
Nonostante la propaganda reazionaria, che sulla paura pone le basi delle proprie rivendicazioni, continui a dipingere in Italia una situazione di insicurezza allarmante, i dati ci continuano a dire il contrario. Non solo infatti i reati contro la persona sono da anni in perenne decrescita, eccezion fatta per i femminicidi la cui radice è però riconducibile più a un problema culturale che securitario, ma l’Italia si attesta anche come uno dei paesi dell’Unione europea con il maggior numero di agenti di polizia per abitante, ai quali andrebbero aggiunti anche i Carabinieri, forza militare facente funzione di ordine pubblico.

Nonostante questo il senso di insicurezza sembra crescere ogni giorno, sia a causa dalla crisi economica, che fa crescere la microcriminalità e i reati contro la proprietà privata, sia perchè alimentato dai media di massa e dalla destra reazionaria, sempre pronti a banchettare sui cadaveri come mosche saprofaghe.
Una particolarità salta però all’occhio quando si scorrono i casi di cronaca nera, specialmente quelli avvenuti in strada, di giorno e sotto gli occhi di tutti. Nonostante urla e richieste d’aiuto, il più delle volte nessuno interviene. In parte certamente a causa della paura, che da sempre frena le gesta eroiche in nome dell’autoconservazione, e che non sarebbe nemmeno giusto biasimare. Parzialmente però anche per un’abitudine alla deresponsabilizzazione e alla delega, ormai divenuta un problema sistemico soprattutto a causa della perdita del senso di comunità e di cura reciproca, della disgregazione del tessuto sociale. Non è un mio problema, non è mia responsabilità, ci penserà qualcun altro. Non voltarti, continua a camminare, non farti coinvolgere. Ognuno per sè Dio per tutti.

Non è un problema relativo solo alla sicurezza. Lo stesso principio di deresponsabilizzazione si può ritrovare facilmente applicato a qualsiasi tematica: basta guardare i commenti sotto uno dei tanti post social degli altrettanti gruppi di paese, dove ogni mattonella fuori posto crea ondate di commenti indignati, senza che questo generi né un’azione attiva di risoluzione del problema né uno sforzo intellettuale nell’andare a scoprire chi dovrebbe occuparsene o perché non sia stata ancora riparata sta mattonella. Perché la risoluzione dei problemi è sempre delegata ad altri, siano essi la politica, la polizia, l’esercito o il padreterno.
Non è un caso che il ddl sicurezza prenda proprio di mira chiunque sottolinei come una parte di responsabilità nel risolvere i problemi ce l’abbiamo tutti. Così si attaccano gli attivisti per il clima, che bloccano le autostrade per ricordarci che fermare il collasso climatico è anche nostra responsabilità. Si attaccano i movimenti transfemministi, che da sempre ci urlano che le strade sicure le fanno la solidarietà e la cultura, non la polizia. Si attacca chi protesta contro il genocidio in Palestina, perché ci dice che gli orrori della storia avvengono quando ci si gira dall’altra parte. Si attaccano gli operai in sciopero, che ci ricordano come i padroni siano più forti quando i lavoratori sono divisi. Si attaccano i centri sociali, che sanno da sempre che l’utopia non è gratis e che un mondo migliore non ci verrà donato dall’alto, ma dovrà essere conquistato centimetro per centimetro.
Si attaccano insomma tutti quelli che, nel loro attivismo a volte conflittuale, alla fine ci infastidiscono, perché nel loro esortare alla responsabilizzazione pongono implicitamente una critica all’immobilismo di chi una posizione non ha voglia di prenderla.
Molto meglio delegare ad altri la risoluzione dei problemi complessi. Molto meglio un leader carismatico che promette interventi muscolari o una forza di sicurezza armata a cui concedere poteri illimitati.
Il problema è che la propaganda reazionaria funziona sul principio dell’eterno nemico a cui affibbiare la colpa di tutti i problemi del mondo, la cui eliminazione porterà finalmente la tanto agognata sicurezza. Ieri ebrei e comunisti, oggi arabi e centri sociali. La domanda da porsi è quindi quanto siamo disposti a cedere in cambio di un fasullo senso di sicurezza? Cosa faremo quando i problemi da delegare finiranno e il problema da delegare diventeremo noi?

Lorenzo Zaccagnini