La chiusura definitiva del CIC è stata trattata come la polvere nel noto modo di dire: “nascosta sotto il tappeto”. Chiuso e smantellato senza rumore. Pratica evasa.
Era il 22 ottobre quando l’ultimo amministratore delegato del CIC, Salvatore Saulle, annunciò l’apertura di una procedura di licenziamento collettivo per gli ultimi sette dipendenti. Dopo una lunga e penosa agonia si avviava così definitivamente alla chiusura quello che fu il Consorzio per l’Informatizzazione del Canavese, nato nel 1985 con la missione di “erogare servizi ICT a Enti e aziende Pubbliche”. Chiude nel silenzio generale, dei sindacati, dei lavoratori, del territorio. Con il CIC, da un certo punto in poi, quando ancora era in mani pubbliche, si è compiuta una vera e propria distruzione di lavoro guidata nell’atto finale dalla Csp Spa che l’ha acquisita per un niente nel 2015.
Dal primo gennaio 2020 di fatto CIC non esiste più. Gli uffici smantellati, l’immobile in ristrutturazione*, rimossa l’insegna. Tutto finito. E i lavoratori? Loro non sono mobili o muri da smontare, abbattere e portare in discarica, anche se metaforicamente oggi così si sentono. E così avrebbero dovuto sentirsi, quando già nel 2013 c’erano i primi segni del tracollo. Quando il CIC, ancora in mani pubbliche, cominciò a chiedere ai lavoratori di rinunciare alla 14esima, di accettare ritardi nei pagamenti, quando ci fu successivamente la prima cassa integrazione. Mancò in quegli anni l’unità e la mobilitazione dei lavoratori. Chi avrebbe voluto reagire veniva tacciato di egoismo e di volere portare l’azienda alla chiusura. Ha prevalso la fiducia in un management palesemente inadeguato (per non dir altro). Invece aveva ragione chi voleva ribellarsi, chi voleva lottare per diritti e lavoro, perché si deve almeno provare a lottare altrimenti si ha già perso in partenza. E perché nonostante tutte le rinunce dei lavoratori il Cic è stato comunque liquidato dal pubblico prima e dal privato adesso. Ora nell’ultimo gruppo di lavoratori rimasti, solo quattro hanno ripreso a lavorare con contratto di somministrazione presso il CUP dell’ASLTO4, l’ultima commessa del CIC rimasta in piedi nel 2019. Evidentemente l’ASLTO4 ha voluto garantirsi la continuità immediata con il minimo sforzo, con l’attivazione di contratti interinali. Si spera che nel nuovo bando per l’assegnazione del servizio di prenotazione venga inserita una clausola di salvaguardia affinché le persone (tutte) che si occupavano in CIC di quel servizio possano continuare a lavorare nella società che si aggiudicherà la commessa (ma è altamente improbabile che lo facciano).
La situazione occupazionale
Tra la fine del 2018 (termine delle commesse garantite) a tutto il 2019 solo alcuni lavoratori hanno trovato autonomamente una nuova occupazione, un numero maggiore è stato invece assunto da società concorrenti o clienti che han fatto campagna acquisti fra i lavoratori, senza contrattazione collettiva con il sindacato. Fra questi ultimi nove si sono licenziati per andare nella Maticmind di Torino, 17 in Dedagroup al Bioindustry Park di Colleretto Giacosa, sei presso aziende clienti (che non hanno assorbito tutte le persone che lavoravano per loro). Nell’ultimo anno quindi si è assistito ad un vero e proprio smembramento dell’unità “CIC”, con i lavoratori che vedevano a mano a mano i colleghi passare in altre società. Su questo aspetto, e non solo, la critica dei lavoratori verso le organizzazioni sindacali è alta perché non hanno tentato di conservare l’unità aziendale, per tutelare tutti i dipendenti. Di consenguenza oggi resta un gruppo di una trentina di lavoratori ancora senza occupazione e senza stipendio dal maggio 2019 (tutti gli ex-Cic aspettano mesi di retribuzione e il Tfr) e con la Naspi arrivata con difficoltà perché i lavoratori risultavano tutti licenziati volontariamente e non dimessi per giusta causa per le mancate retribuzioni. L’indennità di disoccupazione durerà comunque solo due anni, sembra un lungo periodo, ma spesso non sufficiente a trovare un nuovo lavoro, in particolare per chi sta studiando per riqualificarsi.
Quasi tutti gli ex dipendenti del CIC-Csp hanno avviato cause contro l’azienda per cercare di recuperare il danno economico, ma quello che li preoccupa è che l’azienda pare non abbia capienza. La situazione economica della Csp è infatti critica, sembra non abbia asset, «non hanno neanche più gli arredi dei nostri uffici – raccontano i lavoratori – hanno regalato, svenduto a non sappiamo bene chi, ma c’erano camion dell’esercito che caricavano scrivanie, sedie e arredi vari a fine agosto». Oltre che ai lavoratori, la Csp deve soldi all’erario, alla proprietà e ad altri creditori, per questa situazione debitoria la Procura di Napoli ha avanzato un’istanza di fallimento.
La fine del CIC non ha a che fare con la crisi economica
Ancora nel gennaio 2019, a cinque-sei anni dall’inizio del periodo nero per il Cic, c’erano circa 60-70 i dipendenti nella sede di via Castellamonte di fronte all’ex Palazzo Ufficio Olivetti, ma la situazione è andata degenerando velocemente perché la nuova proprietà Csp, non aveva (se mai l’ha avuta) alcuna intenzione di proseguire con le attività in CIC (pare che nella visura societaria non comparisse nemmeno una sede a Ivrea). Chiuse le commesse pubbliche garantite al momento dell’acquisto per tre anni, Csp ha abbassato le saracinesche.
Questa è la drammatica storia del Cic malamente gestito e poi svenduto dal pubblico al peggior offerente nel 2015.
È stata una morte aziendale voluta e programmata da professionisti delle liquidazioni, stessi personaggi stessi metodi (vedi Eutelia Omega Agile ecc..), ma i mandanti sono altri, Csp ha fatto “solo” il lavoro sporco. «Il processo di privatizzazione del Cic, d’altronde, si colloca nel percorso intrapreso da tempo dal legislatore e diretto a ridurre il numero delle società partecipate dalle amministrazioni locali. Hanno approfittato del legislatore per liberarsi di ciò che non interessava (conveniva) più.», afferma lucidamente una ex lavoratrice. Effetto della “spending review” del governo Renzi e della pressione delle associazioni delle imprese private che da tempo chiedevano di “ridurre le società partecipate pubbliche e aprirle alla concorrenza”. Ma da parte loro i soci-clienti pubblici del Consorzio Informatizzazione Canavese ci hanno messo del loro per affossare il Cic, con una cattiva gestione manageriale prima e con la vendita in mani spregiudicate dopo.
Cadigia Perini
* Sembra che al posto di uffici, sale macchine, server e computer, tecnologia, informatizzazione, arrivi qualcosa di più comodo tipo “pouf e canapé”