Procura e Corte dei Conti indagano sulle privatizzazioni dei centri informatici piemontesi, fra questi il CIC e il CSI
La vicenda del Consorzio per l’Informatizzazione del Canavese (CIC) la ricordiamo bene, è una delle ferite del nostro territorio: un bel progetto per l’armonizzazione e ottimizzazione di costi e servizi pubblici con un buon impatto occupazionale, affossato da un management inadeguato e soci pubblici che non hanno posto la giusta cura per un bene proprio e comune.
Dopo tre anni travagliati dove i lavoratori hanno subìto tagli e ritardi nelle retribuzioni, cassa integrazione, incertezza sul futuro, a fine dicembre 2015 si arriva alla vendita del CIC a un’azienda privata, la CSP Spa.
Oggi il sospetto è che in realtà si trattò di una svendita.
La storia
La crisi del CIC risale al 2012 non come crisi strutturale, ma finanziaria, per crediti che il CIC non riusciva a incassare da clienti/soci, primi fra tutti il CSI che cubava il 45% del fatturato e poi il Comune di Settimo Torinese e la sua controllata ASM, a dicembre di quell’anno erano 9 i milioni di disavanzo. Pagarono la situazione per primi i lavoratori subendo il taglio della tredicesima.
Non vi è stata mai la volontà di sanare la situazione, così si è arrivati al giugno 2014 con la prima cassa integrazione a fronte di un calo di commesse valutato in 1 milione e 400 mila euro e sei mesi dopo, nel gennaio 2015, con l’annuncio di un buco di bilancio di 1 milione e 260 mila euro.
Da lì partono i maldestri, vani (e forse non sinceri) tentativi di salvataggio dell’azienda pubblica, con rimpalli e colpi di scena, richieste di dimissioni, persino una commissione d’indagine consiliare che però non ha prodotto un solo contributo per fare chiarezza sulla vicenda.
Infine nell’estate 2015 viene emesso il bando di vendita e a dicembre i soci pubblici (i principali: Comune di Ivrea, le Asl To4, To3 e Novara, Csi Piemonte e Città metropolitana di Torino) cedono alla CSP Spa le loro quote. CIC diventa un’azienda privata.
La vendita
La vendita fu accolta con grande sollievo e pure eccessiva enfasi dagli amministratori pubblici e dalla stampa locale (varieventuali escluso …) che parlarono di tenacia e convinzione di CSP nell’operazione, dimostrate dal “metter mano al portafoglio”, gli articoli in quei giorni parlavano di un “investimento consistente”, 5 milioni e 350mila euro.
In realtà CSP ha pagato solo un prezzo simbolico di 2.000 euro (duemila!). Certo si è accollata i debiti e la ricapitalizzazione, ma conferendo crediti per 1,5 milioni e la piattaforma software per la gestione dei sistemi informatici delle aziende sanitarie DHE (Distributed Healthcare Environment) della Gesi Spa, valutata 3,7 milioni di euro. Una cifra veramente considerevole, alla quale sembra si sia arrivati calcolando una media fra il valore di sviluppo e la stima dei ricavi derivabili dall’adozione della piattaforma. Quotazioni che messe insieme ad altri elementi pare siano oggi oggetto di un’indagine tra Procura di Torino e Corte dei Conti su nomine, gare, salvataggi di imprese pubbliche.
Quotazioni che invece non hanno fatto scattare alcun campanello di allarme ai soci pubblici che hanno venduto le loro quote alla CSP, né al Comune di Ivrea né all’ASLTO4, per parlare di quelli geograficamente più vicini a noi. I venditori, evidentemente, non vedevano l’ora di chiudere il capitolo CIC e, con il benestare del tribunale, la vendita si perfezionò. Neppure l’articolo di Gianluca Paolucci “Appalti e privatizzazioni: ombre sui centri informatici” su La Stampa del 17 marzo scorso, che solleva proprio dubbi su queste valutazioni, ha fatto nascere una reazione da parte di questi soggetti. Ci si aspettava alzate di scudi in difesa del proprio operato e invece si è scelto il silenzio, meglio non alzare polvere.
Cosa emerge dall’indagine
Il punto più grigio sembrano proprio essere le voci che costituiscono il prezzo da pagare per l’acquisizione del CIC, in particolare quei 3,7 milioni di software. Il collegio sindacale di Cic scriveva “il valore è assolutamente aleatorio e che tutto dipenderà dal piano industriale presentato da CSP al tribunale”. Perché il valore di un prodotto portato a pagamento per un acquisto non è precisamente e univocamente definito? Qualcuno dei soci venditori approfondì le caratteristiche e il vero valore del prezioso DHE? Se solo avessero fatto qualche ricerca, avrebbero scoperto che CSP aveva acquistato la piattaforma DHE dalla Gesi Spa solo pochi giorni prima e di averlo messo in bilancio per un valore di 1,3 milioni contro i 3,7 valutati per comprare il CIC. E non può che sorgere spontaneo il dubbio che la CSP abbia acquistato la piattaforma da Gesi proprio per portarla in dote al CIC e quindi abbattere il reale esborso per comprare il Consorzio.
Corti circuiti
Ma chi fece la valutazione ufficiale di quel programma software, fra l’altro commissionata non dal tribunale non dai venditori, ma dall’acquirente? Un professionista napoletano, Giovanni Filosa, incidentalmente anche presidente di Gesi Spa. E il cerchio si chiude.
E come si sono conosciute la romana Gesi e la torinese CSP?
Il tramite è Pio Piccini consulente di CSP e socio della Global Contact, che ha sede a Roma nello stesso edificio degli uffici capitolini della CSP, insieme a Raffaella Berardi che è anche socia di Gesi. E un altro cerchio si chiude.
Ma i corti circuiti non finiscono qui: presidente e amministratrice delegata di CSP è Claudia Pasqui concittadina di Piccini e con lui nella famigerata Omega, il contenitore di aziende “vuote”, in liquidazione o fallimento nella quale è caduta anche Agile per mano dei padroni di Eutelia e loro sodali. E tra questi Pio Piccini, condannato per la bancarotta di Agile-Eutelia a un anno e otto mesi (con patteggiamento) ed è forse per questa condanna che Piccini risulta solo consulente di CSP, se infatti ne fosse amministratore l’azienda non potrebbe partecipare a bandi pubblici.
Non ce n’è abbastanza perché scoppi un incendio? E invece calma piatta…
Cadigia Perini