I responsabili del Polo d’Infermieristica: «siamo autenticamente olivettiani»

Intervista a Diego Targhetta Dur e Elvira Signaroldi, coordinatori del corso di laurea in infermieristica del Polo Officine H d’Ivrea in occasione del decennale che si è tenuto venerdì 11 maggio

Diego Targhetta Dur ed Elvira Signaroldi

Sono ormai trascorsi dieci anni da quanto il corso di laurea in infermieristica aprì ufficialmente le porte dell’insegnamento alle Officine H, ospitando e immatricolando più di 700 studenti e laureandone circa 400.
Per celebrare questo importante traguardo i coordinatori del polo universitario hanno organizzato una giornata di festa, musica e ringraziamenti provenienti da diverse realtà istituzionali, a cominciare da Lorenzo Ardissone, direttore generale ASL TO4 che ha definito il polo infermieristico un «luogo ad intensità positiva».
Il Polo Officina H, in stretta singergia con l’ASL TO4, con l’associazione Insediamenti Universitari e l’Alta formazione nel Canavese e il Comune d’Ivrea, offre al territorio non solo Master di specializzazione come il Master in Cure Palliative e del dolore o il Master in Telemedicina, ma garantisce una formazione continua a quei tanti giovani laureandi che un domani entreranno a far parte dell’Azienda Sanitaria.
In occasione del decennale abbiamo intervistato i coordinatori del corso di laurea in infermieristica Diego Targhetta Dur ed Elvira Signaroldi.

 

Dieci anni di università non sono pochi. Leggiamo che avete immatricolato più di 700 studenti e portati 400 alla Laurea. Quando avete cominciato, quanti eravate? Com’è nata quest’esperienza?

Abbiamo comincianto nel 2008, ma non è stata un’apertura ex-novo. A Ivrea esisteva una scuola d’infermieristica di grande prestigio, chiusa agli inizi degli anni Novanta. Nel quadriennio 1998-2002 la scuola fu nuovamente riaperta e si cominciarono a formare i primi professionisti, riprendendo anche i tirocini formativi. In quegli stessi anni venne tentata l’impresa di portare alle Officine H due facoltà: scienze politiche e lettere. Gli edifici Olivettiani conobbero la loro prima trasformazione da fabbrica a polo universitario, arrivando a coprire i tre quarti degli stabilimenti. Le due facoltà rimasero a Ivrea sino agli inizi del 2005, quando, a seguito di un disegno di riaccentramento delle università, vennero spostate a Torino. Il Polo universitario stava chiudendo a Ivrea, ma dall’altro lato la scuola d’infermieristica rivendicava l’opportunità di riprendere la formazione. Dalla congiuntura di questi due avvenimenti e dopo due anni di trattative, nel 2008 venne aperto il Corso d’Infermieristica.

Leggo di decine di progetti avviati, di una fitta rete di collaborazioni locali e di oltre sessanta soggetti del territorio “che hanno costruito e condiviso nel Polo e insieme al Polo un pezzo di cammino“. Tutto questo richiama la parola “comunità”, il cui senso è accentuato dal fatto che il Polo universitario si trova in edifici olivettiani. Non è casuale, vero?

No, non lo è. Quando abbiamo cominciato il timore era quello di dar vita ad un Polo che fosse solo una copia di Torino. Ciò andava scongiurato e, sulla scia dell’esperienza della vecchia scuola d’infermieristica decidemmo di rafforzare il rapporto dell’Università con il territorio, ovvero con la comunità. A differenza di molte realtà crediamo sia molto attuale l’eredità olivettiana e ci riteniamo autenticamente olivettiani. Guarda caso, l’ASL TO4 sta creando le infermerie di comunità, ovvero piccoli centri più capillari e più efficenti. Non è che aumentando gli ospedali e il numero del personale migliori automaticamente la salute dell’uomo: con le infermerie di comunità si previene il proliferare di malattie, le si colpisce alla radice.

In pieno accordo con la filosofia della Slow Medicine di cui siete fautori, esatto?

Precisamente. Nel 2017 il Corso di laurea in Infermieristica è stato riconosciuto come “Polo Slow Medicine – che Coltiva Salute“. La radice filosofica è quella di Slow Food, solo che al posto del cibo “buono, pulito e giusto” vengono sostituiti i valori dediti alla cura delle persone, una cura che dev’essere “sobria, rispettosa e giusta”.

Gli edifici del Polo Universitario

Mi potete fare un esempio?

Da qui a 25 anni si prevede che circa un quarto della popolazione anziana sarà in uno stato di “demenza”, vulnerabile. Ecco perché il Polo Officine H si sta attivando con altri partner tra cui Palazzo Bricherasio e l’associazione Piazzetta Alzheimer per fare in modo che la comunità locale divenga una “dementia friendly community“, ovvero una comunità che riconosca e aiuti gli anziani in questo stato. Sempre in linea con la filosofia Slow le Officine H ristruttureranno ben presto le mura interne per dar vita ad un progetto chiamato “Va.Sa.Ri”, ovvero Valutazione Sanitaria Rispettosa. Avrete presto notizie a riguardo.

Nell’epoca dell’alternanza scuola-lavoro l’istruzione prevale sull’educazione ed entrambe sono subordinate alla formazione per il lavoro. Mi pare di capire che in questo Polo si faccia molto più che trasmettere nozioni di medicina e formare esclusivamente dei lavoratori: si fa della filosofia e circolano valori, culture e idee. Diego Targhetta Dur, crede che nel XXI secolo la scuola possa ancora essere luogo di crescita?

Certamente, ma mi lasci dire che sono un sostenitore dell’alternanza scuola-lavoro. Ritengo che il lavoro nobiliti l’uomo e penso che la scuola debba svolgere un ruolo di preparazione. Il diritto allo studio è dovuto, ma pensiamo a questo: la facoltà di psicologia ha registrato negli ultimi anni un +26% di iscritti e molti di questi studenti difficilmente troveranno un’occupazione come psicologi. Questi sono disoccupati futuri che peseranno sulla società e la scuola deve poter ovviare a questo problema. Noi abbiamo sempre formato coerentemente con le prospettive di lavoro e, in tempi non sospetti, avevamo cominciato ad attivare tirocini formativi.

Un momento della festa che si è tenuta venerdì 11 maggio

Il tema dell’insediamento di nuovi Poli universitari sul territorio è stato definito un “argomento anacronistico”. Alcuni tentativi erano stati fatti in passato, ma senza successo; eppure l’insediamento del Polo Universitario di Infermieristica è riuscito. Come si spiega tutto ciò? Credete che sia stata un’eccezione irripetibile?

Come abbiamo già detto la filosofia giusta di partenza è stata quella di aver saputo parlare con il territorio e aver intercettato un corso di laurea che è diventato unico nel suo genere. Qui non abbiamo fatto un doppione di Torino, ma qualcosa di diverso. Con questa filosofia a guidare forse anche altre realtà potrebbero insediarsi. Pensiamo alla componente geomorfologica del territorio: alla Polveriera c’è già il GeoDidaLab, in collaborazione con il Dipartimento di Scienze della Terra dell’Università di Torino e pensiamo, inoltre, al fatto che ogni anno, alle Offine H, vengono ospitate le Summer School di studenti d’architettura americani che ci raccontano di avere le camere tappezzate di foto di edifici olivettiani. In America, ovviamente.

Un’ultima domanda: la storia Olivetti di questi ultimi anni è anche quella degli ammalati e dei morti per amianto, vicenda su cui si stanno svolgendo processi, con alterni esiti, nelle aule giudiziarie. Vicenda sulla quale si registra una scarsa partecipazione della “comunità eporediese”. Credete che il tema della salute sul lavoro non interessi? O la città non riesce a fare i conti con il “mito olivettiano”?

Bisogna capire cosa s’intende per “mito olivettiano”: Camillo, Adriano o il brand Olivetti? Sono tre le storie legate all’Olivetti e questa differenza non viene mai rimarcata. Penso vada fatta distinzione tra il “pensiero adrianeo” dell’Olivetti e l’azienda degli anni successivi alla sua “misteriosa” morte. Detto questo non ci sembra che la città sia sorda al “wellness”, ovvero ai problemi legati alla salute. Come Polo abbiamo ospitato diversi incontri sul tema amianto e portiamo avanti una robusta formazione in materia di sicurezza sul lavoro.

Andrea Bertolino