La grande invasione: Roberto Saviano a Ivrea riempie l’Officina H
“La Paranza dei Bambini” di Roberto Saviano inizia con la descrizione della pesca, nella quale una massa di pesci sottili viene portata verso l’alto dalle reti. In massa, con violenza, questi “pesciritti” sono pescati e non valgono niente da soli, ma insieme sono di grande spessore: proprio come i gruppi di ragazzini di Napoli protagonisti del suo nuovo romanzo, che valgono solo se raggruppati in un insieme. Roberto Saviano racconta alle Officine H di Ivrea “La Paranza dei Bambini” (Feltrinelli) il 2 dicembre 2016 , in una serata organizzata dal Festival “La Grande Invasione” e dalla Galleria del Libro. Proprio a Ivrea, lontana da Napoli eppure così simile.
Lo scrittore si è sempre distinto per l’utilizzo del dialetto e Gianmario Pilo, sul palco, chiede il motivo di questa scelta. La prima risposta è più tecnica: “Quando abbiamo ideato “Gomorra- la Serie” e abbiamo richiesto l’uso del dialetto, molti avevano detto che non si sarebbe capito nulla, ma per noi era fondamentale per l’autenticità. In molti luoghi dove è stata trasmessa sono stati inclusi i sottotitoli. Qui l’operazione è stata ancora terza: non il dialetto di Eduardo, ma uno che ne contiene le sonorità ed è inoltre più leggibile. Puoi sentirne il ritmo, è la lingua della carne che i ragazzini ancora parlano.” Il linguaggio non è solo segno della provenienza di un autore, ma contiene il significato di un libro. Per questo, a partire dal dialetto, viene spiegata proprio la trama del romanzo: “Il termine Paranza è antichissimo, sono il gruppo di barche che escono di notte per pescare i pesci. In gergo camorristico la Paranza non è altro che un “gruppo di fuoco”, dal momento che si tratta di un’associazione di persone che come le barche escono a pescare, non pesci ma persone. La mia Paranza è costituita da ragazzi d’età dai 10 ai 18 anni, che in un certo momento della vita si mettono insieme e sognano la possibilità di prendersi quello che vogliono, la possibilità di comandare.”
L’approccio di Saviano è il più concreto possibile, il libro si getta nelle menti di questi ragazzi: ”Il loro desiderio dipende da un’esigenza grandissima, ossia ottenere i “cash”, il denaro ora e subito. L’operazione di progettare risulta per loro quasi impossibile. Date le dinamiche in cui sono inseriti, riescono ad accedere alle armi e danno luogo a effettive operazioni militari: arrivano in massa con dieci, trenta, quaranta motorini e sparano. A tutto: ai palazzi, alle case, a ciò che si muove. E’ un movimento che ha ucciso più di 60 ragazzini negli ultimi due anni e che sorprende anche le organizzazioni criminali locali, che non si aspettano un tale impatto.” Saviano prosegue: “Quando tu chiedi a uno di questi ragazzini “Cosa vuoi dalla vita?”, la prima risposta è “i cash”, prima di tutto. “Come te lo guadagni?” vuoi sapere, e rispondono “Con il fregare le persone, quelli che hai al tuo fianco”.” Da notare che Saviano quando riproduce un dialogo lascia perdere la parlata liscia e parla con l’accento napoletano. Le risposte dei ragazzi qui riportate per scritto diventano con l’accento molto più concrete, molto meno pensate.
Proprio perché siamo a Ivrea questo discorso assume una marcia in più. Già Marco Peroni aveva introdotto con una lettura il luogo in cui l’incontro ha preso luogo, in passato una fabbrica Olivetti; lo stesso autore riprende la concezione olivettiana del lavoro, la fiducia nella regola: “Se provi a dire a questi ragazzini che non funziona esclusivamente con la truffa, loro ti guardano come chiedendo perché stai mentendo, cosa nascondi. Mi piace poter dire queste cose alle Officine H: ripensando alla Olivetti, possiamo ricordare che l’imprenditore attraverso la regola vedeva tutelati il talento, la libertà. La regola era fondamentale perché era garanzia. Oggi per l’imprenditore la regola è spesso un limite, perché il tuo concorrente che non la rispetta ti frega con strategie migliori. Questi ragazzini sanno queste cose, eccome, e le mettono in atto.”
Per questo non c’è distanza tra gli elementi denunciati in un romanzo ambientato a Napoli e i difetti di un’altra città: l’elemento centrale è la sfiducia nella regola, la mancanza di approfondimento. La fabbrica Olivetti ascolta dalle mura questi discorsi e, se qualcuno se li porterà con sé, si sente più viva che mai.
Non è da dimenticare l’aspetto che diede così tanta visibilità a Saviano: l’unione della denuncia di situazioni criminali con la scrittura di un libro a tutti gli effetti. “Alcuni scrittori hanno scelto di non stare soltanto nella pagina, ma di combattere. Questo per me è essere un autore. La mia urgenza di scrivere non nasce tanto dalla voglia di intrattenere, che è bellissimo, neanche dalla voglia di evasione: io volevo invadere. Queste parole tentano suggerire al lettore che la storia che legge riguarda lui e il suo tempo. Ogni volta che scrivo, l’ambizione è che io possa cambiare qualcosa. Per certo si può misurare a livello individuale quanto avvenga un cambiamento: il lettore sa, ogni volta che apre una pagina sa quanto lui lì è cambiato.”
La scrittura di Saviano, per concludere, non lascia molto spazio all’interpretazione. Quello che si legge esiste e bisogna comprenderlo. Un’ultima idea viene aggiunta: “E’ bello potersi riunire a parlare di un libro. Questo è un momento storico in cui è tutto velocissimo, dove i post ti costringono a farti un’idea in pochissimo tempo, in cui hai la sensazione, dopo avere letto qualche contributo, di aver già speso il tempo massimo a disposizione. Il tempo che tieni per te stesso in un libro è la differenza: il libro è tempo che ti stai prendendo.”
Quello che ci si aspetta da Saviano è una soluzione e questa può essere una. Del resto, proprio l’Olivetti metteva a disposizione per tutti i dipendenti una biblioteca ricchissima di libri.
Elia Curzio