“Contro i borghi” un libro scritto a più mani ed edito da Donzelli chiarisce quanta retorica vi sia nello storytelling intorno alla riscoperta dei borghi. “Il Belpaese che dimentica i paesi” è il sottotitolo della pubblicazione e ne esplicita l’intento
Mi scrive un’amica molto attenta e acuta che ha appena terminato il Cammino d’Oropa, è molto contenta dell’esperienza ma ha notato un certo abbandono e assenza di vita nei posti attraversati.
Io che ci abito sul Cammino le ho prontamente risposto che, se già erano paesi in cui gli abitanti uscivano poco e vi era scarsa socialità prima della pandemia, dopo la situazione è nettamente peggiorata.
Ma è davvero così?
Il Cammino d’Oropa in realtà ha visto, proprio per reazione alla chiusura dovuta alla diffusione del virus, crescere i frequentatori occasionali e avere un impatto assolutamente positivo sul territorio che attraversa. Non solo ha permesso a B&B e piccole realtà commerciali di rilanciarsi, ma oggi si pone come asse della rigenerazione di un’area vasta che si estende dalla pianura Vercellese, ai monti Biellesi e Canavesani, facendo della Serra Morenica d’Ivrea la cerniera del loro collegamento. Come rileva la mia amica ancora questo effetto non si è visto sulla socialità dei paesi, ma siamo solo ai primi anni del percorso e i tempi per una rinascita autentica non possono che essere lunghi.
La necessità di strategie a lungo termine per contrastare l’abbandono delle aree marginali è uno dei concetti portanti che potete trovare nel libro “Contro i borghi”; una scrittura a più mani, parte delle iniziative che l’Associazione Riabitare l’Italia propone per porre rimedio alle fratture che ci sono in Italia. Tra queste ferite vi è lo spopolamento delle campagne; un fenomeno tipico della modernità, dell’industrializzazione, la cui cura potrebbe essere una possibile via di salvezza della post modernità, dell’epoca che viviamo con le sue continue crisi, la “policrisi” di cui ha scritto il pensatore francese Edgar Morin appunto.
Tra queste crisi quella causata dalla diffusione del virus Sars-CoV 2 ha riportato al centro la questione delle aree interne, ha evidenziato come la concentrazione urbana sia rischiosa in una situazione di pandemia. In molti si sono chiesti: perché non riscoprire i posti abbandonati dai nostri nonni e genitori per ritrovare autenticità e soprattutto protezione?
Moto assolutamente condivisibile, se non fosse spesso intriso di retorica del branding delle località tipiche, della borgomania, ci spiegano gli autori di “Contro i borghi”. Per loro stessa ammissione vogliono, con i loro scritti, decostruire il discorso pubblico sui borghi. Avrebbero preferito intitolare il libro “Per i paesi”, perché se il “borgo” è parte dello storytelling del marketing territoriale, il “paese” rientra nella narrazione dei luoghi.
«I borghi, nel quadro ufficiale pubblico, non sono che una invenzione «ornamentale» legata a un cattivo uso del patrimonio culturale e delle culture locali. I paesi sono invece le cellule molteplici dell’insediamento territoriale, delle pratiche collettive e delle comunità. Non borghi dunque, ma paesi è la parola del futuro.» Scrive nel suo testo Pietro Clemente, professore di antropologia culturale.
Quello che in tutti gli scritti della pubblicazione viene messa fortemente in discussione è la logica del “Bando borghi”. Pubblicato nel dicembre 2021 dal Ministero della Cultura, finanziato con fondi PNRR ha, secondo gli autori, il limite di finanziare proprio quei progetti che si concentrano su luoghi unici, sulla loro fittizia autenticità, adottando “uno sguardo post-moderno che confina i luoghi, appellandoli evocativamente «borghi», nella poetica tutta novecentesca della nostalgia”.
Insomma per ripopolare le aree marginali, per stabilire un nuovo equilibrio che renda meno impattante l’insediamento dell’uomo e lo sfruttamento delle risorse, non possiamo confondere la parte per il tutto.
Bisogna promuovere il policentrismo ma soprattutto connettere i luoghi. E’ molto fecondo, in questo senso, l’intervento di Paolo Pileri che trovate circa a metà di “Contro i borghi”. Il professore di pianificazione territoriale e ambientale del Politecnico di Milano mette in forte relazione i luoghi con i sentieri, con le tracce che sono anche l’origine e il motore dell’antico sviluppo dei borghi stessi. Propone una forte simbiosi tra i due: «Cadere nella tentazione del marketing che punta sui borghi lasciando indietro i sentieri rischia di non fare un buon servizio al futuro, soprattutto se vogliamo che i cittadini che vi passano debbano imparare «chi» sono i borghi».
Tornando al Cammino d’Oropa e alla solitudine avvertita dalla mia amica nei suoi paesi, sembra che proprio la prospettiva di Pileri possa essere alla base della loro rigenerazione. Non solo abbiamo visto negli ultimi tre anni nascere o rinascere intorno al percorso attività ricettive, negozi e iniziative culturali nei paesi ma la rete dei sentieri sta connettendo i luoghi, sta ridefinendo una narrazione del territorio tra Vercelli, Biella e Ivrea.
E’ altresì importante che ci sia vita, che ci siano ancora abitanti nei posti spopolati dalla fuga verso le metropoli. E perché siano abitati, come viene detto nel libro, è essenziale che vi siano servizi per gli abitanti locali. Servono medici di base, assistenza agli anziani, oltre che connessioni alla rete e mezzi pubblici. Fondamentale è mantenere i presidi scolastici nei piccoli paesi. Ed è così importante perché le scuole non sono solo il luogo della formazione dei giovani e giovanissimi, ma soprattutto sono il posto dove si possono realizzare nuovi patti affinché gli adulti si concentrino maggiormente su quello che lasceranno alle future generazioni e mettano in secondo piano ciò che la società dei consumi gli impone di desiderare qui e ora.
Una sfida difficile ma molto importante che il libro propone è anche quella di generare filiere locali, economia territoriale circolare. Sono pratiche che realizzano la vera transizione ecologica, non la scimmiottano per riproporre modelli economici predatori. E anche su questo il territorio che ha come asse il Cammino d’Oropa ha degli esempi eccellenti: Ecoredia il Gruppo d’Acquisto Solidale d’Ivrea, le iniziative della Fondazione Pistoletto di Biella, Slow Food Montagne Biellesi, la rete di produttori TeriTori, solo per citarne alcuni. Ve ne parleremo più approfonditamente, non vi preoccupate, per ora li elenchiamo e basta.
Tornando alla pubblicazione per Riabitare l’Italia ne segnalo come limite la mancanza di chiarezza sul perché si debba contrastare la marginalizzazione delle aree interne. Se si coglie bene nei vari scritti il come, il dove e anche il quando lo spopolamento dei paesi ha creato abbandono e incuria non si capiscono i perché. Non si colgono i motivi per cui è importante e necessario, nell’epoca delle “policrisi”, rigenerare e riabitare le aree marginali delle campagne e delle montagne.
La crescita delle aree metropolitane non può fagocitare gli spazi che si estendono tra una città e l’altra, come è avvenuto in Brianza e nel Varesotto ad esempio; serve una biodiversità anche abitativa per porre rimedio ai danni creati dalla crescita infinita. Quando cammineremo tra i paesi e percepiremo la loro rinascita vorrà dire che avremo compiuto la transizione verso una società dell’equilibrio, un mondo dove vengono colti i limiti dello sviluppo.
Ettore Macchieraldo