Caro Gualtiero, ormai è trascorso un intero anno da quando, come dicono gli alpini, sei andato avanti precedendoci nel fatale salto che fa definitivamente i conti con la verità dell’ignoto. Ho nitido nel ricordo il momento in cui ho saputo che non ci saremmo più visti, il mio telefono che squilla a vuoto perché io sono in bagno e il mattino si è appena svegliato e io con lui.
Quando mi ricompongo il cellulare attende muto, piatto come una saponetta nera sul comò.
Allungando una mano lo afferro e lacerante, come un fulmine in casa, un improvviso messaggio di Francesco mi avverte che tu sei volato via, il passo leggero di un’ombra che si allontana.
Difficile da credere, anzi impossibile! Eppure è successo; lo si capisce da qualcosa che ti afferra alla gola, che sale verso gli occhi e che fa sgorgare lacrime e rabbia. Il nostro umano destino, il graffio della morte continuano a sorprenderci con l’ineluttabilità del momento.
Da quel messaggio in poi, le telefonate si sono susseguite e lo sconforto degli amici, di chi ti conosceva, è diventato un coro di parole che ti inseguivano, che volevano riportarti indietro sulla carreggiata della vita terrena.
Poi il tuo nome è diventato una scritta su una piccola lapide e un suono sempre più presente nella mia memoria. Gli uomini passano ma la memoria è una casa che non li abbandona all’oblio.
Caro Gualty, io ti ringrazio per tutto quello che abbiamo condiviso. E’ stato un lungo pezzo di vita, a volerlo misurare, lungo più o meno tre decadi, anni ricchi di esperienze importanti e divertenti. Come sai mi riferisco soprattutto alla nostra comune passione per le immagini fotografiche e per i video e per le emozioni dei primi risultati conseguiti nelle operazioni di montaggio e di confezionamento di un filmino anzi di un “filmatino”come, simpaticamente, tu battezzavi e definivi i nostri piccoli lavori.
Gli anni passati insieme a trafficare sono stati bellissimi. Tu sapevi fare di tutto, componevi il giornale VariEventuali per la Cooperativa Rosse Torri, risolvevi problemi tecnici e pratici di ogni genere e soprattutto capivi come si facevano funzionare quegli “scatoloni” dei PC, così come li chiamava, ironicamente, tuo fratello Jonny, più avvezzo alle scalate in montagna che non alle sedute davanti a uno schermo.
Se non fosse stato per te io non ce l’avrei mai fatta a familiarizzare con quelle apparecchiature così indispensabili al montaggio di un video. Siccome rappresentavi la soluzione di ogni problema tecnico, spesso ti ponevo la medesima domanda e tu, solo una volta, hai reagito con un: “Ma se te l’ho già spiegato!”. Io mi sono fatto piccolo e tu, nel timore di avermi mortificato, correvi già ai ripari mitigando il senso delle tue parole. Eri sempre così disponibile e così prodigo nel tutelare l’armonia dei rapporti!
Un giorno ti avevo rivelato che il mio vecchio capoufficio ultraottantenne, incontrandomi per strada, mi aveva detto: “Signor Scala, si ricordi, comunque, che la vita finisce a settantanni” e la cosa, per due coetanei come noi ormai prossimi al traguardo, e detta poi da un ottuagenario, mi era sembrata piuttosto incongrua ed enigmatica.
Inaspettatamente tu, invece, ti eri subito dichiarato d’accordo come se presagissi il tuo destino o forse non vedessi troppo di buon occhio la vecchiaia, età in cui proliferano le malattie e si perdono gli affetti più cari. Forse, anche per questo, hai deciso di proiettare l’anima nel futuro invece che il tuo corpo. In ogni caso, da quando non ci sei più, il tuo ricordo cresce in me e si consolida.
A volte penso ai tuoi gatti e al primo arrivato in casa tua di nome “Giorgio”, un micio che adoravi e che ti illuminava il sorriso con i suoi curiosi occhietti azzurri. Anche sulla tua tomba, quando passo di là, accanto al mazzo di fiori, sorrido alla statuina di un felino che ti fa compagnia.
Io qui, nell’ingenuità delle immagini, ti vedo, come sempre, indaffarato ad esercitare il tuo talento nelle cose che ti piacciono.
Sei una bella persona che la vita non potrà mai portarsi via se non nel luogo di coloro che, come te, hanno il dono sacro dell’amabilità.
Pierangelo Scala