Un ricordo per uno storico collaboratore di questo giornale
Caro Gualtiero, sono passati ormai quattro anni da quando il tuo corpo ha smesso il suo lavoro per approdare a quel giardino di cenere e terra che noi, ancora superstiti del mondo tangibile, onoriamo anche abbellendo il perimetro del tuo riposo.
Il tuo spazio, al cimitero di Ivrea, è stato rinnovato da chi ti vuole bene. Le pareti di legno, che arginavano le zolle brune, sono state sostituite e ridisegnate in chiare linee di marmo e di pietra; c’è un rialzo, a forma di vasca finemente rettangolare, con piantine che sembrano grappoli di bacche rosse. L’area principale è stata ricoperta di ciottoli bianchi, un candore di semplicità che illumina ulteriormente il ricordo che abbiamo di te.
Qualcuno, che non si scorda di passare di là, ha detto: ”Non avrei mai pensato di poter considerare una tomba come qualcosa di bello!” ma è così. Questa piccola casa, in cui solo le tue spoglie si sono ritirate, ha l’impronta di colore caldo, evoca un posto dove il sole indugia fugando le ombre. Anche le cifre, che datano il tuo percorso terreno, e le lettere che compongono il tuo nome prezioso sono incisioni leggere, segni lievi e quasi trasparenti sulla pietra. Sono suoni nel silenzio, discreti com’è sempre stata la tua vita, una vita ascritta, con grande merito, nell’album di una rara umanità.
E poi c’è quella frase, quell’epigrafe che colpisce perché è perfetta sia per chi guarda oltre le forme del finito e sia per chi, invece, si attiene alle solide ragioni della finitezza: ”Ho dovuto imparare che esiste un Altrove e lì ti ritrovo dove sei sempre stato. Accanto a me”.
Anche nell’apposito riquadro, sopra il tuo nome, l’immagine è cambiata: non più il Gualtiero in mezza figura, a colori e con le bretelle rosse, ma quello del volto in primo piano, sorridente in un bianco e nero più classico e più consono alla passione fotografica che ti animava.
Come ben sai, caro Gualty, la tua tomba, per quanto sia un artificio consolatorio, è un legame di cui abbiamo bisogno per relazionare ancora con te anche attraverso il supporto della concretezza materica. Il tuo ricordo permane soprattutto nella nostra memoria, ma è qui che si posa un fiore, è qui che si accarezza o riordina un ciottolo o si lucida un’immagine appannata dalle intemperie, è qui che verremo a rileggere questo splendido epitaffio, è qui che sosteremo in piedi a condividere la stessa prospettiva di cielo o di montagna che appunto la tua tomba addita.
Caro Gualtiero, avrei tante cose da chiederti e tante ancora da imparare da te. Non sono mai stato un carattere facile e ciononostante posso dire che con te non ho mai litigato. Con te, ogni possibile diverbio si smorzava nella tua infinita pazienza e disponibilità. Molte piccole cose alimentano il tuo ricordo. Oggi, casualmente, ho aperto un’icona dimenticata sul Pc e ho scoperto della musica che mi avevi messo tu, musica free da utilizzare nei video. Sarebbe bello fare ancora qualche video insieme oppure chiacchierare come quando, in passeggiata con altri, finivamo spesso di affiancarci per farci le nostre chiacchiere a due.
A proposito, conoscendo il tuo amore per i gatti, ti dico che anche il mio Pedrito, dopo diciotto anni di meravigliosa convivenza, di recente se ne è andato. E’ un altro lutto faticoso da elaborare e tu mi capisci. Io mi racconto sempre tante cose sull’Altrove, ma poi quello che vorrei è il mio gatto tra le mie braccia nella sua forma fisica, gli occhi gialli e vispi di curiosità e il suo mantello nero che sfida ogni superstizione.
A proposito di gatti, tu sai che sulla tua tomba sosta, fin dall’inizio, la statuina di un gatto azzurro. Il micio, pur nella staticità della sua forma di terracotta o di gesso, sembra in grado di miagolare. Un giorno, non molto tempo dopo la tua partenza, sono venuto a trovarti. Nel cimitero non c’era nessuno tranne il sottoscritto. Era estate e faceva caldo. Sono stato lì con te un po’ e poi me ne sono andato. Ho percorso a ritroso il vialetto verso l’uscita e quando sono giunto all’altezza di una fila di innaffiatoi verdi, ho sentito nettamente, con chiarezza assordante il “miao” di un felino. Mi sono voltato e ho cominciato a perlustrare i dintorni, ma cerca di qui e cerca di là, del gatto smarrito non c’era nessuna traccia. Sono tornato alla tua tomba, convinto che quel saluto me lo avessi inviato tu, un saluto così nitido e vero da rimanere scolpito, come un’emozione indelebile, nel mio vissuto. Un saluto che la ragione vuole rinnegare e relegare alla dimensione del sogno o del vaneggiamento senile. Che la ragione faccia pure la sua parte! Io mi tengo il suono del tuo saluto, caro Gualtiero, me lo tengo stretto dentro di me perché tu sei nell’Altrove, di cui parla la tua tomba, e sei anche in un altro Altrove che esula dai suoi angusti confini, almeno secondo me.
E poi sei anche qui, sei dappertutto, sei anche la tomba rigenerata e il gatto azzurro che parlano e miagolano con la tua voce.
Pierangelo Scala