Due anni fa ci lasciava improvvisamente uno dei fondatori di varieventuali, un carissimo amico. Un punto di riferimento umano e tecnico per tutta la comunità delle Rosse Torri. Il ricordo nelle parole di Pierangelo Scala.
Ciao Gualtiero come stai? Noi, qui, come diceva il poeta, si sta come, d’autunno, sugli alberi, le foglie. E per la prima volta, nella nostra vita, siamo foglie mascherate che cadono, strappate via da un vento inconsueto che ha modificato rapporti sociali e stili di vita.
E come se avessimo visto un nuovo volto della morte, nuovo e al contempo antico, crudele come può essere una pandemia che ci coglie di sorpresa. Qui gli “uomini-foglia” camminano per la strada con la mascherina e il Natale e le feste di fine anno sono strade deserte e confinamento in casa. Quando si esce, le mascherine sul volto ci rendono indistinti. E gli occhi di ognuno cercano quelli dell’altro come a frugare oltre la cortina del visibile, come a cercare un segno di riconoscimento oltre la velatura di questa asettica stoffa indossata come una seconda pelle.
L’abituale ritrosia piemontese, avvezza a non incrociare lo sguardo altrui, si è tramutata nel suo contrario. Si operano spontanee indagini scrutanti, agite senza destare sospetto, libere e felici di riconoscere nell’altro un volto celato ma amico.
Caro Gualtiero, qui il corona virus, uno di quegli infortuni che toccano la carne, e che ormai non ti riguardano più, ci sta restituendo la facoltà di vedere più lontano, nelle zone incerte dell’oltre.
Tra le immagini che mi faccio del territorio, dove adesso risiedi, c’è quella di un regno dove tutte le maschere, inutili involucri, sono cadute per rivelare l’essenza sottile della più autentica natura umana.
Mai come ora, dunque, la nostra e la tua dimensione potrebbero sfiorarsi, accorciando le distanze.
Caro Gualtiero, io qui sento ogni tanto tuo fratello Jonni che, con sempiterno vigore, continua a scalare le montagne vicino a casa. Le gite, fatte un tempo con lui e con te, sono memoria cristallina dentro di me.
Ogni pensiero di te, che te ne sei andato in questo periodo dell’anno dedicato alle feste, mi attraversa l’animo suscitando nostalgia e senso di gratitudine. Sei una presenza forte nel mio vissuto, una persona con cui era impossibile litigare e con cui era bello progettare e realizzare piccoli sogni, figli delle nostre comuni passioni.
Qui le tue tracce sono intatte, il tuo contributo pluriennale alla realizzazione del giornale, per cui sto scrivendo, le apparecchiature tecniche che, con tanta perizia e passione, sapevi manovrare.
Ora che non posso più contare sulla tua assistenza, quando il Pc fa i capricci, provo ancora la sensazione di poterti telefonare in cerca di delucidazioni e consigli.
Sono sicuro che in quella casa senza pareti, dove adesso ti trovi, vedendomi trafficare
maldestramente con i cavi, ti farai qualche risata.
La foto, che oggi ti ricorda maggiormente, ti ritrae sorridente con un paio di bretelle rosse che creano ondulazioni grinzose sulla tua camicia. Ti rappresenta molto bene, con quell’aria limpida e buona che faceva di te un libro aperto, sempre leggibile con la voce dell’amicizia.
Il tempo terreno qui scorre sempre più in fretta, reso omogeneo anche da questa pandemia che ci obbliga alla cantilena delle giornate sempre uguali. E sono già due gli anni da che te ne sei andato.
A volte penso che noi, che ancora ci muoviamo nella precaria consistenza della materia, siamo sempre più prossimi ad affrontare l’esame che tu hai già superato.
E’ un esame riservato, come sai, un “tu per tu” con la verità di un passaggio che è destino comune ma che può essere solo esperienza individuale.
Chi lo affronta chiude una porta dietro di sé, si nasconde ai nostri occhi e li lascia immaginare che un’altra porta possa aprirsi al di là dell’ignoto.
Tu che hai già attraversato il campo ne sarai uscito con il passo sorridente e più leggero di prima.
E le tue parole, che vorresti farci udire, sono quelle che ci dicono di come tutto sia molto più semplice di ciò che crediamo e di ciò che temiamo.
Sarà anche per questo che, in questo inverno malato, io, uomo che porta ancora le scarpe, vedo te passare a piedi nudi sullo schermo del cielo, come se non sentissi né freddo né lontananza.
Pierangelo Scala