Il 23 marzo 2019 in migliaia tra comitati, associazioni e singoli che da anni si battono contro le grandi e inutli opere, contro i cambiamenti climatici e la salvaguardia del Pianeta scenderanno in strada per le vie di Roma in una grande Marcia per il Clima e contro le Grandi Opere ed Inutili
Il percorso inizia mesi fa, a Venezia, lo scorso settembre, poi a Venaus, in Val di Susa e in molti altri luoghi, da nord a sud, dando vita ad assemblee che hanno raccolto migliaia di partecipanti.
Sono le donne e gli uomini scesi in piazza lo scorso 8 dicembre a Torino, a Padova, a Melendugno, Niscemi, Firenze, Sulmona, Venosa, Trebisacce e tanti altri luoghi.
Dall’appello lanciato all’assemblea di Roma dello scorso 26 gennaio è nato l’invito a ritrovarsi a Roma il 23 marzo per una manifestazione nazionale che sappia mettere al centro le vere priorità del paese e la salute del Pianeta.
Il modello di sviluppo legato alle Grandi Opere inutili e imposte non è solo sinonimo di spreco di risorse pubbliche, di corruzione, di devastazione e saccheggio dei nostri territori, di danni alla salute, ma anche l’incarnazione di un modello di sviluppo che ci sta portando sul baratro della catastrofe ecologica.
Il cambiamento climatico è uscito da libri e documentari ed è venuto a bussare direttamente alla porta di casa nostra.
Nel nostro paese questa situazione globale si declina in modo drammatico. La mancanza di manutenzione delle infrastrutture, la corruzione e la cementificazione selvaggia seminano morti e feriti a ogni temporale, a ogni ondata di maltempo, a ogni terremoto.
Il cosiddetto “governo del cambiamento“ si è rivelato essere in continuità con tutti i precedenti, non volendo cambiare ciò che c’è di più urgente: un modello economico predatorio, fatto per riempire le tasche di pochi e condannare il resto del mondo a una fine certa.
Le decisioni degli ultimi mesi parlano chiaro.
Mentre ancora si tergiversa sull’analisi costi benefici del TAV in Val di Susa, il governo ha fatto una imbarazzante retromarcia su tutte le altre grandi opere devastanti sul territorio nazionale: il TAV terzo Valico, il TAP e la rete SNAM, le Grandi Navi e il MOSE a Venezia, l’ILVA a Taranto, il MUOS in Sicilia, la Pedemontana Veneta, oltre al al tira e molla sul petrolio e le trivellazioni, con rischio di esiti catastrofici nello Ionio, in Adriatico, in Basilicata ed in Sicilia.
Le catastrofi naturali non hanno nulla di naturale e non colpiscono tutti nella stessa maniera.
Lo vediamo purtroppo quotidianamente e chi sta in basso, infatti, paga i costi del cambiamento climatico e della mancata messa in sicurezza dei territori.
È vero fuori dai grandi centri cittadini, dove devastazione e cementificazione distruggono l’ambiente e la natura, ma è vero anche negli agglomerati urbani, luoghi sempre più inquinati in cui persino i rifiuti diventano un business redditizio. È vero non solo dal nord al sud dell’Italia, ma anche dal nord al sud del nostro pianeta.
Milioni di migranti climatici sono costretti a lasciare le proprie terre ormai rese inabitabili e vengono respinti sulle coste europee. Nel nostro paese terremotati e sfollati vivono in situazioni precarie, carne da campagna elettorale mentre le risorse per la ricostruzione non sono mai la priorità per alcuna compagine politica.
Quando le popolazioni locali, in Africa come in Europa, provano ad opporsi a progetti tagliati sui bisogni di multinazionali e lobby cementifere, la reazione dello Stato è sempre violenta e implacabile.
L’unica proposta “verde” dei nostri governanti è di scaricare non soltanto le conseguenze, ma anche i costi della crisi ecologica su chi sta in basso.
Se da una parte la responsabilità di rispondere al cambiamento climatico è collettiva e interroga i comportamenti di ciascuno di noi, dall’altra i costi della transizione ecologica devono ricadere sulle spalle dei ricchi, in primis le lobby che in questi anni si sono arricchite accumulando profitti, a discapito della collettività e dei beni comuni.
Il sistema delle grandi opere inutili e il capitalismo estrattivo sono altrettante espressioni del dominio patriarcale che sollecita in maniera sempre più urgente la necessità di riflessione sul legame tra donne, soggettività LGBTQIP*A, corpi e territori, portato nelle piazze dello sciopero transfemminista globale dell’8 marzo scorso.
E’ giunto il momento di capire di cosa il nostro paese e il nostro pianeta hanno davvero bisogno.
Si comincerà davvero a dare priorità alla lotta al cambiamento climatico solo alle seguenti condizioni:
– cessando di contrapporre salute e lavoro come invece è stato fatto a Taranto, dove lo stato di diritto è negato e chi produce morte lo può fare al riparo da conseguenze legali;
– riducendo drasticamente l’uso delle fonti fossili, del gas e rifiutando che il paese venga trasformato in un Hub del suddetto gas;
– negando il consumo di suolo per progetti impattanti e nocivi e gestendo il ciclo dei rifiuti in maniera diversa sul lungo periodo (senza scorciatoie momentanee) con l’obiettivo di garantire la salute dei cittadini;
– praticando con rigore e decisione l’alternativa di un modello energetico autogestito dal basso, in opposizione a quello centralizzato e spinto dal mercato;
abbandonando progetti di infrastrutture inutili e dannose e finanziando interventi dai quali potremo trarre benefici immediati (messa in sicurezza idrogeologica e sismica dei territori , bonifiche, riconversione energetica, educazione e ricerca ambientali);
– garantendo il diritto all’acqua pubblica;
– implementando una nuova Strategia Energetica Nazionale riscritta senza interessi delle lobbies;
– trovando una soluzione definitiva per le scorie nucleari, insistendo sul disarmo e la riducendo le spese militari.
I territori, già inquinati da discariche fuori controllo, inceneritori e progetti inutili, sono inoltre attaccati e messi a repentaglio da monoculture e pesticidi che determinano desertificazione e minano la possibilità di una sempre maggiore autodeterminazione alimentare.
E’ necessario che le risorse pubbliche vengano destinate ad una buona sanità, alla creazione di servizi adeguati, al sostegno di una scuola pubblica e di università libere e sganciate dai modelli aziendalisti, ad un sistema pensionistico decoroso, ad una corretta politica sull’abitare e di inclusione della popolazione migrante con pari diritti e dignità.
Siamo ancora in tempo per bloccare le grandi opere inutili e inutili
Siamo ancora in tempo per contrastare il cambiamento climatico
Siamo ancora in tempo per decidere NOI il nostro futuro!
essevi