Un evento culturale di spicco quello tenutosi in città dal 31 maggio al 2 di giugno, capace di mobilitare un pubblico sempre più numeroso, all’insegna di uno slogan, a firma di Domenico Starnone, che recita: “La parola è il più straordinario degli effetti speciali”
Starnone, già insegnante, redattore del Manifesto e autore di libri, si distingue, dunque, anche per questa frase che è diventata l’insegna della manifestazione, la sottolineatura di quanto il linguaggio e la parola siano imprescindibile strumento di conoscenza e di formazione culturale. La grande Invasione oggi è una scelta e non un ripiego, una kermesse in nome della quale si rinviano altri impegni od opportunità di vacanze. E’ un richiamo che nobilita la città, che l’arricchisce di nuove presenze, che lucida la sua anima spesso assorta in un grigio torpore. Il centro storico di Ivrea rivela il fascino tipico di un salotto letterario. I dehors dei caffè diventano palchi teatrali, il cortile del museo Garda si fa passerella per autori, pittori, scrittori e giornalisti. Ivrea la Bella riluce, si veste delle tinte forti della vita, diventa realtà animata, scorci di paesaggio che si aprono alla parola. E’ l’occasione per chiunque di diventare parte sociale e attiva del brusio cittadino, visitare quel bar dove forse non ci si è mai seduti, ascoltare qualcuno che diffonde il suono dolce delle parole colte. Non mancano i personaggi noti, c’è una mescolanza di eventi e di incontri. Ci sono anche appuntamenti che si sovrappongono, che esigono ulteriori scelte, ma che, ripetendosi nel programma, non lasciano a bocca asciutta nessuno.
Tanti i nomi noti presenti, tanti gli applausi, tanti i fotografi ad immortalare questa settima edizione dell’evento. E poi, citando Jean Luc Godard che diceva a proposito del cinema: “Non bisogna far attenzione solo alle cose ma anche a ciò che succede tra le cose” ecco che la Grande Invasione assume un altro e ancor più sorprendente significato. Sciamando da un posto all’altro, il pubblico finalmente si riconosce e si incontra. Puoi decidere di andare alla mostra o di sentire i finalisti del premio Strega e poi incontri gli amici, ti metti a discutere con loro e ti perdi l’appuntamento a cui eri diretto. Lì, in quel neo capannello di spettatori ambulanti, tra una tappa culturale e l’altra si ampliano e precisano nuove riflessioni. Nel gruppetto in cui mi trovo nomino lo scrittore Gian Luca Favetto e, come per magia, la sua figura si presenta davanti a noi, mi riconosce, si ferma. Le chiacchiere scavalcano l’oceano, scomodano il grande Bruce Springsteen. Il suo esercizio muscolare, la forma fisica ostinatamente curata, sono il segno di una giovanilità a cui non si vuole abdicare, nemmeno quando sono scoccati i settanta, oppure la condizione inderogabile per sostenere un concerto di quattro ore al cospetto di migliaia di spettatori in delirio? Quanto e come ti consuma il successo, quale tributo di energie pretende? Come calamitato da un eco, arriva mister Marco Peroni, artista eporediese che sul Boss sa tutto e in quel tutto c’è persino un viaggio, fatto da lui e dal suo amico Mario Congiu, proprio laggiù in New Jersey dove questo idolo senza tempo possiede una casa. Peroni riabilita subito lo Spreenting palestrato e forse intimorito dalla vecchiaia, lo assolve da ogni vezzo narcisistico, lo affranca dal dubbio critico che i bicipiti robusti significhino assecondare essenzialmente il mito di un’eterna giovinezza. Favetto chiede a Peroni com’è la casa del Boss. Peroni ride perchè la casa è troppo lontana dal cancello per potersi vedere, ma il cancello è lì e anche il campanello che si suona come fanno i ragazzi prima di scappar via. E anche la buca delle lettere è ben visibile, quella buca dalla quale, sempre come ragazzi, Peroni e Congiu sono tentati di portare via la posta, una bolletta della luce come un trofeo, un cimelio da esibire per l’intera vita. Da questo spunto di narrazione inaspettata, la conversazione si sposta sul tema del feticismo e dell’idolatria. Favetto racconta di come la sera prima, nel suo gruppetto di amici, giocando con le parole come intorno ad un falò, si parlasse proprio del Boss, di come lui e la moglie Patti Scialfa si facciano tagliare i capelli, rigorosamente in casa, perchè nessun ciuffo di pelo, nessuna ciocca sul pavimento possa diventare reliquia tra i fans o merce di culto abnorme e fanatico.
Da un argomento ad un altro, come per l’effetto di un contagio, le parole risaltano nelle sfumature delle voci, crescono e si alimentano sullo sfondo di questa Grande invasione. Spettatori e protagonisti si scambiano i ruoli, pubblico e attori si confondono come nelle immagini di Paolo Avanzi, nella sua mostra, dove uno scatto di reflex diventa un quadro di delicato acquarello rendendo labile il confine tra una forma d’arte e l’altra.
C’è un’aria calda nella sera che tramonta su piazza Ottinetti.
Fra poco Ferruccio Bortoli chiuderà la giornata finale della manifestazione con la presentazione del suo ultimo libro.
Improvvisamente si materializzano Gianmario Pilo, uno degli organizzatori di questa invasione, a fianco di Concita De Gregorio. Lei sembra esile come una fata, si muove snella nel corpo minuto e attraversa via Palestro. La osservi con curiosità e, sotto l’agitarsi della capigliatura bionda, vedi in lei la donna che i libri, i giornali, i pensieri e le parole hanno mantenuto giovane nel tempo.
Pierangelo Scala