L’età media dell’uomo si alza, con conseguenze per l’intero pianeta. Anche Ivrea dovrà fare i conti con due fenomeni connessi e significativi: l’aumento della popolazione anziana e la fuga di giovani menti
Pochi lo ammetterebbero, ma ognuno di noi, camminando per le vie delle città, occasionalmente getta uno sguardo alla bacheca dei necrologi, non tanto per augurarsi di non riconoscere nessuno su quei fogli bianchi, bensì per verificare l’età di morte. Tralasciando le fatalità, nel silenzio rispettoso di quella contemplazione restiamo increduli nel vedere gli anni di quelle persone: settanta, ottanta e persino uomini o donne oltre i novant’anni.
Che la vita dell’essere umano si sia allungata è ormai un fatto sotto gli occhi di tutti quanti. Lungi dall’essere cosa di poco conto, l’innalzarsi dell’età media di una popolazione è un fenomeno da affrontare per capire che tipo di conseguenze può avere non solo a livello locale, ma anche a livello globale. È quanto si è cercato di fare all’incontro del 12 ottobre all’Officina H organizzato dal Forum Democratico del Canavese dal titolo “Il mondo che cambia: l’allungamento della vita dell’uomo”. Alberto Piazza, professore di genetica umana all’Università degli Studi di Torino, ha presentato dei dati sorprendenti che delineano scenari futuri incombenti, per quanto non assoluti. Accompagnato da diverse slide, ha affermato: «I grafici delineano una situazione strana: nel 2050 avremo il 30% di africani nel mondo, mentre la Cina, sempre indicata come la maggiore responsabile per concentrazione demografica, sta subendo un calo a causa della politica di restrizione delle nascite. L’Europa, in tutto questo, è scesa più di tutte le altre realtà mondiali, diventando anche la più anziana: entro il 2030 gli europei saranno i più vecchi del mondo».
Stando ai dati 2010-15, in Africa in media ogni famiglia genera dai 4 ai 5 figli, mentre nei paesi più sviluppati (tra cui l’Europa) la media è di 1,68 figli. Per questo motivo l’Africa è in costante crescita demografica. L’Italia, allineata con la media europea, risulta essere in calo demografico e «dal 1952 al 2014 è stata registrata una crescita di popolazione anziana over 65».
La qualità dell’ambiente che ci circonda, il progresso farmaceutico e medico, la dieta alimentare e lo stile di vita hanno un peso che incide al 75% sulle ragioni della longevità dell’essere umano, mentre il restante 25% sarebbe da attribuire a fattori genetici, stando alle parole del professor Piazza. E proprio sulla medicina di precisione legata alla genetica si è poi concentrata la discussione: «il mondo sta cambiando e si aprono nuove prospettive tecnologiche. A causa della longevità della vita, il sistema economico dovrà cambiare in funzione dei servizi erogati, in quanto se tra un po’ di anni il 20% della popolazione sarà composto di ottantenni o novantenni occorreranno servizi sempre più efficienti e automatizzati, come robot, stampanti 3D ecc. Una delle speranze maggiori è la manipolazione precisa del DNA».
Stando alle parole del professor Piazza la manipolazione del DNA sarà una delle frontiere del futuro prossimo; esercitando una conoscenza medica e tecnica in grado di asportare geni danneggiati o responsabili di malattie genetiche sarà possibile curare malattie e deformazioni altrimenti maligne. La tecnica applicata alla medicina, lungi dall’essere neutrale, apre ad un’infinità di questioni bioetiche e biopolitiche. Chi, ad esempio, avrà il controllo su queste tecnologie? La Cina, per citare un caso, non si è fatta scrupoli a imporre un controllo sulle nascite: e se uno Stato si spingesse oltre determinando geni “accettabili” e geni “non accettabili”?
Se da un lato risulta chiaro che il mondo intero dovrà fare i conti con questi problemi, dall’altro lato anche le realtà locali non saranno risparmiate, Ivrea in primis.
Non è una novità che il territorio eporediese sia sempre più anziano. I giovani sotto i 30 anni su territorio eporediese alla fine del 2014 erano 5745 contro i 6462 sopra i 65 anni, ovvero 717 unità in più.
L’età media della città, infatti, è passata da 46,20 anni nel 2005 a 48 anni nel 2014 e, dato ancor più eclatante, la percentuale di over 75 che nel 2006 si assestava attorno all’11,47% è salita sino ad arrivare a sfiorare il 15,84% del 2014.
Parallelamente a questa tendenza se ne registra una seconda altrettanto significativa: la perdita di giovani. Ogni ragazzo spende circa 13 anni di formazione sul territorio se si considera il percorso scolastico che parte dalla prima elementare sino ad arrivare alla quinta superiore. Successivamente gli scenari che si aprono sono pressoché due: avviare un lungo percorso universitario e quindi trasferirsi a Torino o in altre città d’Italia oppure rimanere sul territorio per cercare lavoro, non sempre con ottimi risultati. Gli ultimi dati disponibili sul mercato del lavoro locale lasciavano sperare in un’inversione di tendenza per la popolazione giovanile, ma è sotto gli occhi di tutti quanto difficile sia per un ragazzo decidere di rimanere sul territorio per costruirsi una vita propria. Per ogni giovane che decide di andarsene sono circa 13 anni di investimenti (di tempo e risorse) che se ne vanno. Non sarebbe una cosa della quale stupirsi: è normale, dopo tutto, seguire le proprie ambizioni e desideri e, perché no, trasferirsi altrove. Purtroppo, però, il flusso sembra essere unidirezionale e per tutti i ragazzi che se ne vanno non ce ne sono altrettanti che decidono di venire a vivere a Ivrea.
Questo fenomeno, a Ivrea come altrove, assomiglia a un cane che si morde la coda: il territorio invecchia e i servizi e il mercato si adeguano per venire incontro a questo cambiamento, finendo col trascurare sempre più le necessità giovanili. Se lasciato incontrollato questo processo avrà una sola conseguenza finale: gli anziani erediteranno Ivrea.
Andrea Bertolino