Un contributo della Classe 5C del Liceo Gramsci d’Ivrea al dibattito su testamento biologico e fine vita
Noi siamo per il rispetto della persona umana sancito dall’articolo 32 della Costituzione. Siamo per il rispetto della volontà degli esseri umani, per il valore della dignità dell’uomo e della sua libertà.
Al fine di veder attuato quell’articolo, vorremmo dunque che anche in Italia venisse approvata una legge sul fine vita. Una norma che – come in Olanda (il primo Paese che l’ha adottata, dal 2002), Belgio (dal 2014 applicabile anche ai minori di 12 anni), Lussemburgo, Svezia, Danimarca, Gran Bretagna, Spagna, Francia, Svizzera, Austria, Germania, per limitarsi all’Europa, ma vige pure in alcuni Stati americani – consenta di agevolare o di assistere i cittadini che, a causa di malattie che rendono la loro vita un’atroce sofferenza, chiedono o hanno chiesto di essere accompagnati alla morte.
Una legge che, ad esempio, obblighi ogni persona adulta ad esprimere un proprio libero parere in merito al delicato e complesso problema del fine vita, della propria vita. Un parere che, per evitare ogni tipo di accanimento terapeutico, venga espresso in un Testamento biologico (modificabile in ogni momento) o in una dichiarazione anticipata di trattamento (sul modello di quella relativa alla donazione di tessuti e organi, già istituita dal 2012 e indicata sulla Carta d’identità) a cui rifarsi per la delicata decisione da prendere in caso di necessità.
Gli ultimi due casi italiani sono quelli di Giovanni Trez e di Fabiano Antoniani (djFabo), i quali hanno richiesto il suicidio assistito. Due casi in cui i soggetti erano coscienti, nonostante la grave malattia.
Il suicidio assistito è diverso dall’eutanasia, perché mentre nel primo è il soggetto sofferente stesso che compie coscientemente il gesto finale, nel secondo caso, invece, questo gesto è compiuto da altri, sia con il propinare delle medicine, sia staccando i dispositivi di cura e di alimentazione artificiale (come nel travagliato caso di Eluana Englaro, nel 2009, allorché la giovane donna fu costretta a vivere in stato vegetativo per 17 anni).
L’auspicio è perciò che questa legge si estenda anche e soprattutto alle persone che non sono più coscienti, allo scopo di evitare a coloro che prendono la difficilissima decisione finale (parenti, amici, medici) di incorrere nel reato di “omicidio consenziente” previsto dall’art. 579 del codice penale (fermo in questo caso al 1930, al codice Rocco). Se però Giovanni e Fabiano, volendo mettere fine alla propria non-vita, si sono visti costretti ad espatriare e a recarsi nella clinica Dignitas di Zurigo (una delle tante peraltro: c’è anche la Eternal Spirit o la Exit e altre ancora) pagando 8 mila euro (si parla già, infatti, di business dei suicidi assistiti), ciò vuol dire che lo Stato italiano continua a non tener conto del secondo comma dell’articolo 32 della Costituzione, in quanto non solo obbliga «a un determinato trattamento sanitario», ma viola i «limiti imposti dal rispetto della persona umana».
Con la nuova legge, infatti, la Repubblica, oltre a tutelare «la salute come fondamentale diritto dell’individuo», dovrebbe altresì garantire anche il diritto, altrettanto fondamentale, alla libertà di morire, nel caso di malattie inguaribili. E ciò pur dinanzi a una Chiesa che nel caso attuale di djFabo si è mostrata sorprendentemente più disponibile e che, viceversa, nel caso di Piergiorgio Welby, nel 2006, si era rifiutata (su ordine del cardinale Ruini) di celebrare il rito religioso, come aveva pur chiesto la moglie cattolica. Occorre dunque che anche in Italia si avvii al più presto un dibattito nella società, affinché ogni cittadino possa prendere coscienza del problema.
Nella speranza che quando il Ddl sul fine vita e sul Testamento biologico verrà ripresentato in Parlamento, dopo 30 anni di rinvii e accantonamenti, i deputati si passino una mano sulla coscienza e possano dare finalmente anche all’Italia una legge tanto necessaria quanto civile e dignitosa.
Classe 5C
Liceo Gramsci – Ivrea