Figli di Buona scuola

A osservarlo dal di fuori o guardarlo dall’interno, l’inizio dell’anno scolastico porta con sé una miriade di interrogativi sulle solite inefficienze, aggravate dall’incistamento in un sistema logoro.
Che poi i più fortunati possano constatare tutto ciò da una posizione di vantaggio – in alcune scuole la democrazia è ancora esercizio quotidiano – be’, anche per questo ci si chiede perché.

Perché un mese dopo l’inizio della scuola manchino ancora tanti docenti, e in particolare quelli di sostegno.
Perché, tanto per utopizzare, le procedure per le nomine debbano cominciare alla fine di agosto e non, chessò… alla fine di giugno, così da rassicurare contemporaneamente le famiglie, le scuole, i supplenti in attesa delle mail.
Perché circa 2000 istituti (presumibilmente 2500 il prossimo anno) siano ancora e di nuovo privi di dirigente, con conseguenze disastrose per quelli che, in “reggenza” per anni e anni, con il blocco degli esoneri hanno perfino difficoltà a trovare un vicario decente.
Perché, invece di rendere più semplice e veloce la nomina dei presidi mancanti, il MIUR abbia deciso di complicarne i termini del concorso, tanto che difficilmente il prossimo anno la situazione sarà sanata: dopo una prova di preselezione, la classica prova scritta classicamente seguita dalla prova orale, con l’aggiunta, per i candidati selezionati, di un corso di formazione di due mesi seguito da quattro mesi di tirocinio, da coronarsi con una prova scritta teorico-pratica per concludersi con una prova orale finale (poi ci si stupisce se arrivano a dirigere le scuole insuperbiti incattiviti e inaciditi…).
Perché, dopo l’ennesima riforma – la renzianissima Legge 107, – non si possano verificarne i risultati correndo ai ripari (e mantenendone gli eventuali benefici), restituendo dignità ai docenti, umanità ai dirigenti, istruzione agli studenti, scuola alla scuola.
Perché l’istruzione italiana si sia meritata una ministra nemmeno diplomata – il cui curriculum vanta più che altro uno zelante impegno per il Sì al referendum – la quale esordisce dapprima proponendo la riduzione dei licei da cinque a quattro anni, poi delle medie da tre a due anni, infine l’introduzione degli smartphone in classe, così: random, e di certo senza alcun sostegno didattico pedagogico o filosofico.
Perché sia passata come acqua fresca nel Paese l’idea che gli studenti debbano lavorare perfino a pulire i cessi anziché studiare, oltre a tutto complicando enormemente la vita dei collegi docenti e delle segreterie già ridotte all’osso in sacrificio al dio risparmio.
Perché l’autonomia didattica – introdotta disgraziatamente dal ministro Berlinguer quando l’istruzione non era ancora aziendale, e via via realizzata negli anni – abbia condotto alla libera concorrenza, cosicché due istituti uno accanto all’altro, come due mondi a sé, seguano regole e modus operandi del tutto differenti.
Perché a nessuno faccia più impressione che i presidi manager siano strafelici, al di là d’ogni buonsenso, di scippare alunni-utenti ad altre scuole-aziende tanto da formare classi con 30-35 alunni, alla faccia della vecchia cara didattica.
Perché i sindacati siano desaparesidos: i confederali a politicare nei palazzi, gli autonomi a far da sportello informativo, i cobas a nostalgizzare sui bei tempi andati quando il latino ci erudiva e la lotta faceva cuccare.
Perché nessuno trovi illegale o perlomeno strano che il contratto dei lavoratori della Scuola sia scaduto da sette anni senza uno sciopero né un dibattito.
Perché diavolo a fare opposizione in questo Paese sia rimasto solo Maurizio Crozza (per favore: chi non ha visto la sua imitazione di Fedeli guardi le puntate del 29 settembre e del 6 ottobre!).
Perché, a fronte di questo e altro ancora, tutto porti a pensare che la pace regnerà sulla nostra terra, anche nell’A.D. 2017/18.

i.s.