Educazione civica a scuola

Educazione Civica, disciplina senza tempo, ovvero le nozze coi fichi secchi

Alzi la mano chi è contrario all’educazione civica. … Nessuno.

Sarebbe come opporsi alla bontà, ignorare il canto degli uccelli a primavera, odiare Babbo Natale. E certo che se accosti il sostantivo “educazione” all’aggettivo “civica” vien fuori un leggiadro quadro rinascimentale di discenti e docenti che dibattono al lume della scienza, simulacro di un’egida contro quello che stiamo diventando: stupri di gruppo come videogiochi e best seller specchi di una società marcescente.

Ecco spiegato perché, ammucchiato tra i leit motiv di questo fine agosto, accanto a più appetitosi fatti di cronaca c’è l’ora di educazione civica, che appare quale panacea di ogni orrore.

Non era questo boccone indigesto

Invece così non può funzionare. Quando la terra non era ancora bruciata e la scuola produceva anche dibattito (diciamo fino a 12 anni fa?), l’espressione “educazione civica” induceva al sorriso, retaggio di un passato concluso da libro Cuore e grembiule nero (“bene, ragazzi, adesso facciamo educazione civica”).
L’educazione alla cittadinanza era la scuola, non più (e non ancora) quel boccone indigesto in cui all’ora di civica segue l’ora di scienze e poi ginnastica e italiano …
Ciascuno, si credeva allora, pazientemente tesse un pezzo della stessa tela: scienze con l’educazione alla sessualità, ginnastica con l’addestramento al rispetto nello sport di squadra, storia con la Storia, matematica con la metodica costruzione di percorsi, e poi le visite al consultorio e incontri con gli ambientalisti e perfino i sindacalisti…
Era questa l’idea condivisa: ogni sapere, ogni insegnante a concorrere per un unico fine, che è (era?) la lenta, individuale eppur collettiva costruzione di un pensiero complesso.

La gabbia delle gabbie

A partire dal 2020, l’intrusa è stata piazzata nelle Indicazioni Ministeriali con un doppio carpiato: le ore senza orario, la disciplina senza tempo, insomma le nozze coi fichi secchi.
Il principio che ogni classe dedichi alla civica educazione un’ora ogni settimana già in sé nega quell’idea di crescita comune: studiando Kavafis puoi riflettere che se sei distratto ti alzano muri attorno (“…Murato fuori del mondo e non vi feci caso”), non lo scopri se te lo dice con il ditino alzato il prof di una disciplina inventata perché piace agli utenti.
Ma il doppio carpiato, dicevamo: non potendo appesantire ulteriormente l’orario negli studenti, né espungere brutalmente un insegnamento dal piano didattico per far posto al nuovo arrivato, è assegnato agli istituti l’acrobatico compito di inserire una materia senza aggiungere ore, cioè i docenti in qualche modo dichiarano di aver trattato un tema ascrivibile all’educazione del cittadino.
Tu, insegnante di scienze, hai spiegato le funzioni degli alimenti per la vita? Metterai una crocetta sotto Educazione alimentare, con ciò cubando tre ore sulle 33 complessive obbligatorie. Tu, prof di italiano, hai dedicato due ore all’analisi dell’ungarettiana “Veglia”? Facile: Educazione alla pace!
Il tutto, attenzione, coronato dalla gabbia delle gabbie: il voto, risultato numerico di “verifiche” valutabili.

Il prof vagante

A far quadrare il tutto ci sono i prof “di potenziamento”, quelli che, avendo poche classi e quindi ore che “avanzano” da utilizzare (nell’organico dell’autonomia confluiscono posti comuni, posti per il sostegno e posti per il “potenziamento dell’offerta formativa”), diventano portatori di educazione civica.
A questi disgraziati tocca vagar per consigli di classe a pietire un’ora qua un’ora là, oltre a ricordare ai colleghi – in particolare con l’approssimarsi degli scrutini – di inserire qualche ora nella solita irritante tabella: quanto basta a imbastire una verifica scritta e assegnare un voto. Perché a fine anno – capolavoro! – quelle multiformi 33 ore devono produrre un numero (che fa media!).

E dunque?

A mettersi nei panni degli studenti, che idea trarremmo da un’impostazione siffatta?
Che la scuola contribuisca a diventare grandi in un mondo complicato e plurale, oppure che sia la somma di espedienti per venirne fuori in qualche modo?

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