Viki-di-Casa-Pound, uno dei geniali personaggi inventati da Caterina Guzzanti, ragazza della periferia romana e orgogliosamente “fascista del Terzo Millennio”, ripete ossessivamente una serie di slogan tra i quali “E allora, le foibe?”. Un refrain tipico che è anche iI titolo dell’ultimo saggio, uscito a gennaio per i tipi di Laterza, di Eric Gobetti, studioso torinese del Fascismo, della Seconda Guerra Mondiale, della Resistenza e della storia della Jugoslavia nel Novecento
“Questo libro nasce da un’urgenza – si legge nella prefazione – Quella di fermare il meccanismo che si è messo in moto, impedire che il Giorno del Ricordo diventi una data memoriale fascista, togliere ai propagandisti politici il monopolio delle celebrazioni”.
E, più avanti, “Chi sfrutta una tragedia di questa portata per vantaggi personali o politici non agisce certo per amore della verità e manca di rispetto prima di tutto alle vittime“. Il libro si basa su documenti, prove, verbali, fatti accertati dalla quasi totalità degli studiosi (ben otto, delle cento pagine ospitano una bibliografia ragionata) con l’intento di denunciare l’uso pubblico della storia ai fini politici.
Quello di Gobetti è un libro rispettoso e coraggioso che smonta la retorica e la propaganda bipartisan (frutto di un tentativo di riconciliazione sia dei post fascisti che dei post comunisti) e l’uso pubblico (politico) della storia, attraverso la rimozione dei crimini fascisti. Riducendo quel pezzo di storia allo scontro tra due parti: i popoli slavi e i loro partigiani (nelle cui file combatterono tra i 20 e i 30mila antifascisti italiani) usi alle peggio violenze e gli italiani, vittime innocenti di queste violenze. Gobetti inizia affrontando soprattutto le due questioni fondamentali: le foibe e l’esodo. E per “fare storia” parte dalla geografia, da quel confine orientale sull’Alto Adriatico, perché è fondamentale capire dove siamo quando parliamo di foibe e di esodo. E qui smentisce la prima verità: che quei territori siano italiani da sempre, mentre diventano italiani dopo la Prima Guerra Mondiale e lo restano fino alla fine della Seconda (vent’anni).
“Parlare di genocidio è storicamente errato. E le motivazioni delle uccisioni non furono affatto etniche, ma politiche, perché i partigiani jugoslavi combattevano fascisti, nazisti e collaborazionisti, indipendentemente dalla loro appartenenza etnica”.
E questo avviene lungo un territorio che subisce l’occupazione dello Stato italiano sotto Mussolini (che lo costringe alla italianizzazione forzata) e che, dal 1943 al 1945, subisce l’oppressione tedesca. Un territorio dove vige la famigerata circolare 3C del generale Mario Roatta, il cui obiettivo è spezzare l’appoggio della popolazione alla resistenza antifascista jugoslava attraverso fucilazioni di massa, deportazioni, distruzioni di abitazioni e l’istituzione di veri e propri campi di concentramento.
“E allora, l’esodo”?
Anche qui la versione ufficiale parla di oltre 300mila italiani costretti improvvisamente a lasciare le proprie abitazioni e fuggire oltre confine. Dati alla mano Gobetti racconta che l’esodo durò invece ben 15 anni, dal 1941 al 1956 e che gli italiani (a differenza di altre popolazioni) poterono scegliere se restare o abbandonare quei territori. “Chi sfrutta una tragedia di questa portata per vantaggi personali o politici – ribadisce Gobetti – non agisce certo per amore della verità e manca di rispetto prima di tutto alle vittime“. Non è una questione interpretativa, “non stiamo parlando di diversi modi di raccontare e giudicare una vicenda: è proprio sui fatti che la narrazione politico-mediatica dominante diverge significativamente dai risultati della ricerca storica”.
Esiste nel nostro Paese, è la tesi dell’autore, il problema della memoria storica dei crimini fascisti, quelli compiuti nei Balcani, ma anche quelli relativi al colonialismo in Africa.
Gli italiani hanno avuto responsabilità dirette nella repressione della popolazione civile in Jugoslavia con oltre diecimila morti. Senza considerare le responsabilità indirette: aver appoggiato i movimenti collaborazionisti come gli Ustascia croati e i Cetnici serbi, responsabili del maggior numero di uccisioni nel teatro jugoslavo (un milione di morti). Il Giorno del Ricordo nasce con l’intento di riunificare degli elementi politici diversi , ma in realtà crea una spaccatura in cui si contrappongono i gruppi antifascisti e i neofascisti. Smentire che le foibe siano state una pulizia etnica o, peggio, la nostra Shoah (il 10 febbraio 2019 a Basovizza il ministro dell’Interno e vicepremier Matteo Salvini dichiara “I bimbi morti nelle foibe e i bimbi di Auschwitz sono uguali”) o riportare ai dati ufficiali la dimensione quantitativa del fenomeno (5000 e non 1 milione, come affermò in una trasmissione radiofonica del febbraio 2004 l’allora ministro delle Telecomunicazioni Maurizio Gasparri), non significa ridurne la gravità, prestandosi a una gara tra i morti, ma inquadrare i fatti con le loro specificità. Conoscere il contesto in cui avvennero i fatti è fondamentale; ciò non significa giustificare le vittime e i tanti innocenti, ma riconoscere anche, da parte dello Stato italiano, i crimini compiuti ai danni della popolazione slava.
Simonetta Valenti