Il nuovo ministro fa tutto quello che non aveva promesso, però con una disinvoltura strabiliante
Patrizio Bianchi senza scomporsi ha dato forfait: “a causa delle varianti inglesi” (sic!) quasi tutte le scuole italiane – dall’infanzia alle superiori – sono chiuse.
Che poi è un linguaggio vecchio e infingardo per dire ben altro: il ministro non accetta il termine “chiuso”, perché la dad che cos’è, se non un’istruzione ottenuta con altri mezzi?
Intanto – avverte – si lavora per un miglioramento. Nossignore, di classi più snelle con più spazio nelle aule per lavorare con maggior agio e con tempi più distesi… di tutto ciò per ora si tace: invece “Investiremo risorse per affrontare questa fase, guardando anche oltre l’emergenza, considerando la Didattica a Distanza non come ripiego ma come integrazione e arricchimento per costruire una scuola nuova”.
Chiaro il concetto? Il problema delle classi numerose si risolverà spezzando la didattica e magari anche i gruppi: un po’ a scuola un po’ a casa, un po’ in presenza un po’ in assenza, che poi assenza non è ma diversamente presenza.
Dunque, siam pronti alla dad, non fosse per gli insegnanti da formare, erudire, ammaestrare: “occorre una formazione per i docenti rispetto alle nuove forme di didattica”, magari anche attivando “reti di volontariato a supporto della scuola”. Traduzione: se oggi la dad fa schifo – e lo fa – non è a prescindere dai mirabolanti effetti speciali nei quali si prodigano i prof, ma proprio perché quelli non ne son capaci.
Proiettata così la scuola del futuro verso orizzonti inarrivabili ai più, e ri-piazzati studenti e insegnanti davanti a un monitor (accontentando così per qualche decennio anche oculisti e psicoterapeuti), due questioni si offrono alla pubblica opinione: il prolungamento dell’attività didattica fino al 30 giugno e gli esami di Stato, già maturità.
La coda dell’anno scolastico al 30 giugno è ridicola e probabilmente un bluff: non a causa degli insegnanti, che a scuola ci stanno almeno fino al 30 giugno, quanto per le strutture, il personale ATA, i trasporti, il turismo. Ci saranno forse sparuti gruppi di studenti che seguiranno brevi e inutili corsi di recupero, così guadagnandosi la promozione. E non è detto.
Anche perché nel frattempo, così d’emblée e fischiettando come nulla fosse, il nuovo ministro ha abolito anche quest’anno lo scritto della maturità in luogo di un’interrogazione con elaborato interdisciplinare (da non chiamare “tesina” ché al MIUR patiscono): non sarebbe strano allora che, mentre si dice ai ragazzi che due mattinate davanti a un banco sarebbero di grave nocumento alla salute, si obbligassero gli altri studenti a frequentare quelle aule?
Il grande Totò saprebbe rispondere.
Resta il mistero dello scippo ai ragazzi di quinta: perché togliere loro la possibilità di esprimere idee e informazioni, fare analisi, pianificare e organizzare un testo scritto? Non soltanto ci si sono allenati per anni: per molti tra loro scrivere è ancora creare, qualcuno lo fa addirittura con gioia e con eccellenti risultati. Ragazzi che malvolentieri parlano con un linguaggio scabro e asciutto, danno invece il meglio di sé nell’esercizio della scrittura, in un tempo più lungo e totale concentrazione.
Perché, allora? Sarebbe bastato distribuirli nelle aule con distanze abissali tra uno e l’altro, con mascherina, sanificatore, perfino visiera o casco da astronauta volendo.
Una decisione improvvida e ingiusta, e anche questa la pagheremo.
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