Dopo aver prodotto i danni sotto gli occhi di tutti, il legislatore fa piccolissimi passi indietro, minuscoli freni alle delocalizzazioni selvagge dei call center.
Forse vi sarete accorti che da qualche tempo (da gennaio) chiamando un call center l’operatore aggiunge al suo nome il paese dal quale risponde: “Sono Erik, rispondo dall’Italia, come posso aiutarla?”, possiamo sentirci dire.
E’ una delle novità portate dall’art. 35bis “Norme in materia di localizzazione e svolgimento dei servizi di call center” della legge di bilancio 2017, solo una minuscolo passo per porre freno alle delocalizzazioni.
Le novità
Oltre a sapere da dove risponde l’operatore, dal primo aprile nel caso risponda da un paese extraeuropeo, potremo chiedere di trasferire la chiamata in un call center in Italia o in altro paese europeo. L’azienda che non si adegua rischierà una sanzione di 50.000 euro al giorno, per ogni giorno in cui non renderà possibile il trasferimento.
L’articolo di legge richiede anche che le delocalizzazioni fuori dal territorio nazionale in un paese che non sia membro dell’Unione Europea, vengano comunicate almeno 30 giorni prima al Ministero del lavoro e delle politiche sociali, all’ispettorato nazionale del Lavoro, al Ministero dello sviluppo economico e al Garante per la protezione dei dati personali, pena una multa pari a 150mila euro per ogni comunicazione omessa o tardiva.
Questo non sembra un gran freno a spostare il servizio all’estero, basta comunicare, nulla viene detto in merito ad eventuali possibili obiezioni dei vari ministeri e ispettorati. Tutt’al più lo Stato farà un po’ di cassa in caso di ritardi nelle comunicazioni.
Il comma 4 dell’art. 35 parla invece di incentivi sospesi per chi delocalizza, solo sospesi non cancellati, difatti recita: “In attesa di procedere alla ridefinizione del sistema degli incentivi all’occupazione nei settore dei call center, qualunque tipologia di beneficio, anche fiscale o previdenziale, non può essere erogato ad operatori economici che delocalizzano le attività di call center in Paesi che non siano membri dell’Unione europea.”
Interessante il comma 10 che per contrastare le gare al ribasso sotto i minimi contrattuali, prevede che l’offerta migliore sia determinata al netto delle spese relative al costo del personale.
Occorrerà però che venga integrato precisando cosa si intenda con il concetto di “costo del personale” ai fini della valutazione dell’offerta migliore. altrimenti rimane pura teoria.
Insomma veramente piccoli passi, ma comunque un avanzamento rispetto alla situazione attuale, dovremmo aspettare qualche tempo sia per tutto quanto nell’articolo è ancora da specificare sia per capire se le nuove norme avranno influenza positiva su occupazione e condizioni lavorative.
Le contromosse
Con l’entrata in vigore delle nuove norme, immaginiamo che le aziende che vendono servizi di call center come quelle che hanno parti di call center in casa, stiano lavorando a delle contromisure. Se si pone un freno alle delocalizzazioni dei call center, potrebbero pensare di spostare altre attività all’estero … come ad esempio il back office, tutte le attività di registrazione contratti e altre mansioni amministrative. E’ tipicamente il settore dove vengono collocati i lavoratori “esenti cuffia”, quei lavoratori che, principalmente per motivi di salute, non sono idonei a rispondere al telefono. Sono quei lavoratori che un’azienda di call center considera un problema, perché non utilizzabili in tutti i settori, “sacche di inefficienza”, un respondabile del personale li ha cinicamente definiti.
Accade in Comdata
In un incontro con i sindacati di inizio gennaio (con nuove norme già pubblicate in gazzetta ufficiale), Comdata ha comunicato di voler cessare totalmente le attività di back office nella sede di Ivrea in quanto non più “produttive e redditizie”. Comdata propone lo spostamento delle persone in attività di front end (rispondere al telefono) o in alternativa una buona uscita per chi si licenzia (chiamala alternativa…). Chiudere il back office da una sede vuol dire non dare più possibilità di lavoro a chi per ragioni di salute non può lavorare con la cuffia, e può essere proprio questo l’obiettivo, ma anche precludere agli altri lavoratori una rotazione per usufruire di un periodo di pausa dal lavoro in cuffia.
La criticità potrebbe comunque essere più ampia, la chiusura del back office in Comdata, sembra infatti non essere solo un problema della sede di Ivrea, la voce è che Comdata voglia esternalizzare tutto il settore, e viene facile pensare ad uno spostamento all’estero… rientra un call center, esce un back office.
Cadigia Perini