A Burolo, venerdi 24 novembre, il racconto di due canavesani
Il viaggio come sfida e come prova di resistenza fisica e psicologica. Migliaia di chilometri in bicicletta verso le terre dove il cielo si abbassa e la luce del giorno è una macchia di bianco povera di sole. Strada e fatica, le gambe sul pedale, la spinta della volontà e il fruscio della ruota. Ci vuole un certo ardimento per un viaggio così, ci vuole una certa follia. Maurizio Pitti e Franco Morgani, a cavallo di un destriero di ferro che rappresenta uno dei mezzi di locomozione più belli. Due selle e la strada, un carico a corredo, abiti e tende, un minimo di attrezzatura meccanica e poi muscoli in campo. Oggi, il viaggio compiuto è ricordo che diventa racconto, immagine proiettata, sorrisi che accendono gli occhi, emozione condivisa, traccia d’ispirazione per chi, tra il pubblico, già culla l’idea di intrepide emulazioni.
Maurizio e Franco sono certo due visionari pragmatici, loro le gambe le fanno girare anche a piedi. Il primo colleziona maratone, il secondo ha corso il Tour de Geant’s e non è nuovo alle lunghe distanze percorse in bicicletta. Il duo per Capo Nord si è formato all’insegna dell’amicizia perché un’avventura così non si improvvisa. Non si può partire con il compagno sbagliato, non si possono macinare chilometri se non sai di poter contare su chi pedala al tuo fianco. Un poco alla volta l’idea del viaggio si fa strada nella mente di entrambi, si spulciano le gare pubblicizzate su internet, si punta l’attenzione su quella che fa per te. Oggi queste gare estreme sono numerose; accolgono sportivi di ogni genere, compattano gli animi pronti a spiccare il volo. C’è una partenza e un percorso che rimane libero, salvo l’obbligo di passare attraverso alcuni punti intermedi prefissati. Per il resto ognuno può correre e soprattutto fermarsi quando vuole, stabilire le tappe, variare la corsa. La gara dei nostri parte da Piazzale Michelangelo a Firenze e a puntare il manubrio verso il grande nord sono in 65. A concludere l’impresa, invece, saranno in 40, mentre chi vincerà divorerà la strada al ritmo fanatico di 360 chilometri al giorno, numeri da vero Rambo dei pedali, performance che sanno di leggenda con increduli interrogativi su quali siano veramente i limiti del corpo umano.
Maurizio e Franco si iscrivono al raid (per la precisione le chiamano gare di “ultradistanza”) al mese di febbraio e al 29 di luglio scatta la loro avventura. Prima c’è un articolato periodo di preparazione, uscite in bicicletta per saggiare più o meno la capacità di percorrenza. La risposta, a viaggio concluso, sarà di 180 chilometri di media giornaliera per un totale di 4080 chilometri in 24 giorni. Per partire ci vuole anche tranquillità familiare. Bisogna spuntare il consenso delle mogli, prevedibilmente riluttanti a sorvolare su un periodo di assenza così prolungato, bisogna oliare i rapporti all’insegna del massimo fair play. Alla fine l’avventura scandisce il suo tempo. L’umore passa dall’entusiasmo della partenza alle ombre che segnano i momenti di crisi, quando le montagne spezzano le gambe o la strada sembra non finire mai. Il viaggio prosegue in modalità “wild” come dicono i suoi interpreti. Si corre sempre e con qualsiasi tempo, si dorme in ripari improvvisati, stazioni di servizio, benzinai che affittano bungalow, legnaie e rimesse, panchine e, quando proprio non ce la si fa più, si ricorre al soccorso di qualche campeggio o di un salatissimo hotel. E poi la tenda, piccolo rifugio di tela approntato nei boschi. Né dormire né mangiare bene sono il tratto distintivo di queste gare. L’aspetto saliente è la strada che sfila, le gambe che girano, la bici che procede determinata verso la grande meta. Il sapersi in gara aiuta a centrare l’obiettivo, fa da stimolo a non demordere.
I paesaggi sono stupendi, le dimensioni territoriali riservano grandi spazi di natura e silenzi. Il cielo è curvo e ogni tanto si gonfia di pioggia, i pensieri si accavallano come le nubi, la fatica si mescola al sudore, le braccia e il corpo cercano sollievo e si appoggiano alle prolunghe cornute del manubrio, ma le gambe spingono l’avventura fino alla fine. Oltre che sfilata di panorami, il viaggio è anche incontri di strada. A volte succede che un corridore, in gara anche lui, incroci il tuo cammino. Succede, dunque, che due biciclette diventino tre, l’esperienza umana si allarga, la fatica sembra più leggera. Lassù, in Finlandia, le renne attraversano la strada indifferenti ad auto e biciclette e sembrano figure fiabesche. Si scattano delle foto, si respira il freddo dell’umidità, si scacciano moscerini kamikaze. Alla fine il globo di ferro appare sulla falesia a strapiombo sul mare. Quella è la meta sudata e quella è la meta raggiunta. Capo Nord in bicicletta e i polsi che tremano per la soddisfazione.
Il rientro è uno scherzo, un balzo in aereo e il Canavese di sempre pronto ad accoglierti. Ma ogni viaggio ti cambia, da una parte ti allieta con il piacere del ritorno, dall’altra lo sforzo compiuto già ti sollecita con il richiamo di una nuova avventura.
Pierangelo Scala