Durante il Consiglio comunale del 3 marzo è stata discussa la “mozione Covid”, respinta all’unanimità dalla maggioranza. Dietro l’idea d’istituire un ufficio-covid, tuttavia, si celava una domanda: Sertoli e la sua maggioranza che idea di comunità hanno per questo territorio?
In mezzo a un dibattito pubblico focalizzato sulla questione del movicentro d’Ivrea nell’ultimo consiglio comunale eporediese hanno trovato spazio anche altre questioni e argomenti niente affatto secondari, nonostante alcuni di questi attendessero di essere discussi e votati da gennaio.
Una mozione, in particolare, ha sollevato una discussione utile e interessante non solo per rimarcare la lontananza concettuale e di principio che separa le varie forze politiche comunali, ma che può portare un po’ di luce su un quesito fondamentale: che idea di comunità hanno l’amministrazione Sertoli e le forze consiliari che la sostengono?
Può apparire assurdo porsi questo interrogativo oggi, a distanza di più di due anni di governo locale, ma proprio nel momento in cui Ivrea e i suoi cittadini avrebbero più bisogno di stringersi come una comunità (vera o “immaginata” che sia) Sertoli e la sua amministrazione non sembrano essere in grado di proporre un’idea di comunità.
“Tutti uniti contro il Covid”: bocciata la mozione delle minoranze
“Premesso che la situazione emergenziale causata dal Covid-19 perdura da ormai un anno e purtroppo non c’è in vista una soluzione immediata né definitiva del problema dovremo convivere con il virus ancora per molto tempo”. Comincia così la mozione presentata unitariamente dal Partito Democratico, Viviamo Ivrea e Movimento 5 Stelle e che nella sua stesura non manca di segnalare all’amministrazione non solo il fatto che “alcuni cittadini abbiano contattato il numero del Comune dedicato al Covid senza ottenere risposta”, ma anche che “la situazione generale sia parecchio confusa” e che “la comunicazione a livello locale sia molto carente e frammentaria”. Per questo motivo i consiglieri di minoranza hanno chiesto che il sindaco e la giunta s’impegnassero ad istituire “un vero e proprio ufficio Covid coordinato dalla Segreteria Generale”, in contatto con le fonti ufficiali e in grado non solo di emettere un bollettino settimanale con i dati territoriali (coinvolgendo anche i comuni contermini), ma anche utile per fornire direttamente tutte le informazioni necessarie su tamponi, piano vaccinale locale, modalità per fruizione delle scuole, limitazioni per il trasporto, commercio, ristorazione, rifiuti e qualunque altra informazione utile.
A respingere la mozione al mittente ci hanno pensato il sindaco, la consigliera leghista Anna Bono e il consigliere Donato Malpede. «Non saremmo in grado di dar vita ad un ufficio Covid» ha immediatamente dichiarato Sertoli, ammettendo che il numero comunale dedicato al Covid è effettivamente sospeso e che dal canto suo preferisce risultare utile ai cittadini dedicandosi “personalmente” al volontariato, accompagnando gli anziani nei centri vaccinali o risolvendo “piccoli problemi” come “procurare le chiavi” dei magazzini comunali. Dello stesso tenore l’intervento del consigliere Malpede, mentre la consigliera Bono ha espresso perplessità sulla comunicazione dei dati: «non è chiaro che dati abbiate in mente. Non è semplice dare i numeri».
Inutile è stato poi l’appello del sindaco alla minoranza invitandoli a “fare come fa lui”. Il consigliere del PD Maurizio Perinetti ha infatti risposto: «facciamo già volontariato, ma a ognuno il suo mestiere. Il Comune e l’amministrazione hanno un altro ruolo».
La discussione si è infine conclusa con il voto contrario di tutta la maggioranza, l’astensione del consigliere Dulla (in disaccordo circa un punto della mozione che chiedeva il ripristino dei consigli in presenza), l’uscita dall’aula “virtuale” da parte del consigliere Fresc (risentito dall’atteggiamento costantemente ostruzionista della maggioranza) e il voto favorevole dei restanti consiglieri di minoranza.
Questa maggioranza è senza un’idea di comunità
Al di là dell’ilarità che può suscitare l’immagine di un sindaco che ha in mano “le chiavi delle città” nel vero senso della parola, dobbiamo sforzarci di guardare oltre e tentare di aprire un ragionamento sullo spirito della “mozione Covid”. Senza necessariamente prendere alla lettera il testo della mozione è plausibile immaginare che l’intento dei proponenti fosse quello di rendere l’amministrazione Sertoli maggiormente consapevole del proprio ruolo, stimolandola a intervenire maggiormente per ovviare a quel senso di confusione che prende il sopravvento ogni volta che apriamo un giornale, guardiamo internet o la televisione: programmi che ci travolgono con numeri e dati, cronache di morti e di sofferenti, procedure talvolta complesse e contraddittorie, opinioni divergenti sul Covid e su come affrontarlo e in mezzo a quest’oceano cacofonico di parole il cittadino comune rischia sovente di perdersi in un bicchiere d’acqua, lasciandosi conquistare dallo sconforto. E allora che cosa fa? Va alla ricerca dell’istituzione che più gli può trasmettere sicurezza e appartenenza ad una comunità. A detta di chi scrive la mozione poteva essere colta in quest’ottica, ovvero rendere l’amministrazione consapevole del fatto che assessori e consiglieri hanno un ruolo che va al di là dei regolamenti, dei conti, o dei problemi di natura organizzativa; il comune deve farsi guida di una comunità, interpretare i bisogni ed essere in grado di accrescere il senso di solidarietà tra le persone.
Il volontariato individuale che Sertoli propone (con il beneplacito dei consiglieri di maggioranza, evidentemente d’accordo con questa visione) stride con l’idea di comunità suggerita da PD, ViviamoIvrea e M5S e con lo spirito di solidarietà che tante associazioni locali si sforzano faticosamente di costruire giorno dopo giorno.
Un sociologo accorto potrebbe riscontrare in tutto ciò echi sommessi di un lontano confronto intellettuale tra senso di comunità e senso di società, laddove il discrimine concettuale sta tutto nel concepire gli uomini (o in questo caso i cittadini) come appartenenti a un gruppo collettivo oppure atomizzati e in balia di rapporti che Max Weber chiamava “accordi razionali di mutuo consenso”. Ma probabilmente la lettura è più umile di quanto voglia apparire ed è del tutto plausibile pensare che Sertoli e la sua maggioranza concepiscano questo “volontariato individuale” come effettivamente utile, senza accorgersi, tuttavia, del fatto che questo sforzo può produrre risultati solo in paesi molto molto piccoli, dove il personalismo degli assessori o del sindaco può fare la differenza. A Ivrea, duole dirlo, questo tipo di sforzo è decisamente irrisorio e sprecato rispetto gli obiettivi che il sindaco vorrebbe raggiungere.
Ivrea, i suoi cittadini e il territorio circostante hanno bisogno di un comune che si faccia guida della comunità, che organizzi gli sforzi collettivi, diriga il prezioso lavoro delle associazioni, rimuova gli ostacoli materiali affinché altri soggetti locali possano operare; non un comune che si sostituisca a tutto questo.
Andrea Bertolino