Sopprimere la vita per eliminare il contagio
I covid-reclusi aggiornano le loro esistenze sulla base del nuovo Dpcm che, in seguito alla prevista seconda ondata della pandemia, impone nuove regole restrittive delle libertà personali e delle abitudini dei cittadini. Il rientro dalle vacanze estive, il canto delle cicale sulle spiagge affollate, il gusto edonista della vita, scontano le conseguenze dell’atavico balletto tra eros e thanatos, tra istinto della vita, che deve affermarsi, e quello della morte che deve pur sempre operare.
Tra queste due sorelle bisticciose gli uomini danzano intrecciando capricci e destini.
“L’importante è capire” diceva sempre una mia amica, gli occhi scuri come calamite di rara bellezza, e aveva ragione. L’importante è capire ma per capire, in questi tempi di rinati focolai epidemici ribattezzati “cluster” proprio per meglio capire, la comprensione si perde in un mare di vomito.
Il vomito è quello delle parole rovesciate dai media, è il bombardamento sul virus che tiene banco giorno e notte su giornali e tv. Viviamo nella massima espressione democratica dei pareri e delle opinioni, delle supposizioni, delle ipotesi, e delle scarse certezze scientifiche.
Oggi ci caratterizza la pretesa, dettata dall’impazienza, di voler decifrare subito, bruciando i tempi minimi necessari, il perché e il percome di ogni cosa.
Il Covid 19 ci spaventa non solo perché ci contagia, ci ammala e ci avvia al camposanto, ma soprattutto perché ci sfugge, si nasconde, risulta incomprensibile e quindi non facilmente neutralizzabile. Il virus è sinonimo di incertezza e l’incertezza, che è il fondamento stesso della vita così come il rischio, ci risultano intollerabili.
Sento dire da più parti che viviamo nel migliore dei mondi possibili, quello del miglior benessere raggiunto, dei migliori progressi della medicina, dell’allungamento della vita in un tripudio di comfort e di agi materiali senza precedenti eppure non sappiamo convivere con l’incertezza e tanto meno con la solitudine. E pensare che, tanto per sottolineare l’importanza della solitudine, la poetessa americana Emily Dickinson diceva: “Forse sarei più sola senza la mia solitudine”.
Siamo talmente insicuri che spingiamo ricorrentemente il governo a prendere decisioni certe in nostra vece, come se in cabina di regia dovessero sempre fare benissimo anche tutto quello che compete solo a noi stessi. Pretendiamo la certezza dagli altri per calmare la nostra ansia.
Ecco perché sopravvive l’idea dell’uomo forte che risolve ogni problema, che si fa carico delle nostre manchevolezze.
Vorremmo sempre estrarre il coniglio dal cilindro, vorremmo il colpo di magia risolutiva, vorremmo che tutto tornasse come prima di questo guado pandemico. Vorremmo, in sostanza, che la vita fosse garantita e quindi morta, finta, sempre uguale nel suo giostrare di aperitivi e movida, vorremmo che la vita fosse diversa da ciò che è e quindi artefatta e irreale.
Siamo coraggiosi solo per interposta persona. Da soli non ce la facciamo nemmeno a disciplinarci nell’uso corretto di una mascherina.
Gli stessi negazionisti si nutrono di certezze elaborate dai loro leader di riferimento. Sono famelici di verità indiscutibili non per acquisire conoscenza ma per dormire sonni tranquilli, per sentirsi più al riparo dal virus stesso. Non è che non hanno paura, è che della paura hanno semplicemente e acriticamente eliminato la causa. E ne sono così persuasi da darti subito del “tonto” se non sei pronto a seguirli, a sottoscrivere le loro convinzioni. Protetti dall’ideologia del complotto, vincolati ad un dogma, si sentono parte di quel mondo più acuto ed elitario che “ha capito”, sbeffeggiando quello che, invece, vaga nel corridoio buio dell’ignoranza. Il loro bisogno di sicurezza diventa sicumera sfacciatamente esibita.
In questo modo stemperano anche le curiosità di chi vorrebbe prestar loro orecchio nella comune, seppur non certificata, sensazione che in un mondo, palesemente asservito al profitto, non ci sia troppo da stupirsi se, per venderti una cura, si crei appositamente una malattia.
Nella vita delle (finte) certezze, si dichiara dunque, senza ombra di dubbio, che non esistono né virus né morte al punto che molti temono di più la quarantena che il virus stesso.
In questo senso ci sono stati anche ristoratori, informati sulla loro positività, che hanno deliberatamente e irresponsabilmente continuato a servire, senza mascherina, i loro clienti.
In un mondo dove la fiction non è soltanto un genere cinematografico ma è l’aspetto tracciante della realtà, più che per il virus minaccioso, la tragedia incombe per la mancanza di equilibrio.
La disputa tra terrorismo mediatico ed esorcismo, all’insegna del negazionismo, si può conciliare solo nella percezione corretta della via di mezzo.
Anche nello sport questo equilibrio è stato compromesso. La performance sportiva si orienta al superamento del limite ignorandone la stessa esistenza. Se penso che il limite non ci sia ecco che lo supero. Così facendo la sfida si gioca puntando più sull’incoscienza che sul coraggio.
Bisogna anche dire che, entro certi limiti appunto, questa logica della rimozione può funzionare, magari con l’aiuto degli antidepressivi, il cui consumo è aumentato considerevolmente in questo periodo.
Blocco della libertà e solitudine richiedono un supplemento di pillole. Molti auspicano un vaccino risolutore ma non sono disposti a far nulla per crearsene uno mentale in grado di rafforzare le difese naturali contro il pericolo. E poi si sente parlare di dittatura sanitaria in atto quando noi stessi siamo i primi a volerci rendere schiavi dei farmaci. In fondo si cerca sempre la via più facile come se la vita non fosse altro che un’inebriante pedalata in discesa.
Ecco, questo è il mondo che abbiamo costruito grazie ai soloni del pensiero positivo che bandisce quello negativo non solo esorcizzandolo, ma negandone pure la sussistenza. Si parla tanto di complessità del reale, ma non si vede la complessità della vita, la sua bipolarità, non si vede la compresenza di bene e di male, né si conosce l’aspetto malvagio e tragico del nostro stesso essere.
Se tutto è interconnesso allora il corona virus si vince riconoscendolo innanzitutto come tale. Nella malattia presenziano gli dei, diceva qualcuno. Forse la malattia è latrice di nuovi messaggi, invita alla compattezza dell’azione, rende solidali, ma il virus non ci insegnerà proprio nulla se non saremo disposti a confrontarci con la nostra individualità. Il virus si vince, al di fuori del disegno complottista, conoscendo meglio e bilanciando il nostro rapporto con la natura, si contrasta diminuendo l’inquinamento, per esempio, si sconfigge restituendo armonia al cielo e alla terra.
Meno plastica e più cervello, meno violenze e più poesia.
E basta macellare animali vivi per il proprio stupido appetito lamentandosi poi se il virus fa un inevitabile salto di specie.
L’altra sera in tv venditori ambulanti, nel mercato del pesce, esibivano polipi vivi e aragoste annaspanti come trofei per la gola, cibo fresco da consumare per la delizia del palato. Ebbene se si cominciasse a vedere nel cibo la presenza di un animale agonizzante forse potremmo guadagnarci un progresso di coscienza.
Adesso si sterminano anche i visoni, graziosi animaletti allevati, intensivamente, in gabbiette anguste dove non possono nemmeno girarsi. Hanno beccato il virus da noi e adesso ce lo riconsegnano per cui noi, in nome della supremazia della razza umana, li dobbiamo eliminare. Invece di imparare a gestire le restrizioni imposte dalla pandemia, e cogliere la sospensione della normalità come l’occasione di una nuova “visione” delle cose, noi sterminiamo i “visoni”.
E poi ci vantiamo di essere “visionari” pronti a tutto, cavalieri di sogni e di conquiste, quando non riusciamo nemmeno a vedere che macellai e macellati fanno parte della stessa barbara promiscuità. Chi ha detto che il macellaio sia migliore del macellato solo perché questo è un visone o un ermellino?
Sterminiamo sempre il nemico invece di conoscerlo, distruggiamo ogni cosa che sia contraria alla nostra pseudo vita ignorando che spesso la causa delle nostre malattie sta proprio nei nostri comportamenti. Gente malata che crea mondi malati. Cerchiamo sempre di affermare il positivo contro il negativo e non al di là del negativo. Siamo proprio piccoli, più di quei poveri visoni senza colpa.
Evidentemente al mondo c’è gente che ancora si compra pellicce, che sogna crociere e che non vuole morire mai. Al mondo c’è gente che si crede invincibile piuttosto che stupida.
C’è gente che vuole tornare alla vita di prima, gratis, senza costi da pagare o correttivi da adottare, come se la pandemia in atto, l’effetto serra, le alluvioni, le tempeste, i ghiacciai artici che si sciolgono e i mari che traboccano non c’entrassero nulla con le nostre scelte. La plastica si potrebbe eliminare a partire da domani, ma le lobby milionarie non lo permettono: prima di tutto gli affari e poi vivere, a qualunque costo, anche da morti. Questo è il credo universale, questa è la morale imperversante e suprematista.
Il corona virus ci terrorizza, non per colpa dell’ossessione fobica inculcata dai media, che pure esiste, ma perché siamo degli ectoplasmi viventi, pupazzi meccanizzati sulla via dello sfacelo di massa. Sono pessimista? No tutt’altro. So solo che non ho certezze e questa è l’unica visione certa che ho.
La vita mi piace e preferisco vivere cento giorni da pecora, a patto che siano da vera pecora, piuttosto che uno da leone, forse addestrato in un circo, con la frusta di un domatore del cavolo che ti schiocca sul muso.
Pierangelo Scala