Dati e numeri alla mano quando si parla di immigrazione e stranieri in Italia, non titoli sui giornali o generalizzazioni sommarie: in questo modo si può comprendere il fenomeno e gestirlo, non combatterlo
”Invasione!”; “vengono qui per fare i lavori che gli italiani non vogliono più fare”; “le carceri sono piene di migranti”; “li dobbiamo mantenere”.
Sono solo alcuni dei luoghi comuni che sentiamo nominare quando si parla di migranti. L’opinione pubblica si arrovella il cervello di fronte alla conferma o alla smentita di queste “frasi-spot”, ma la narrazione che viene portata avanti tramite media, social network e immagini di barconi in mare aperto è ormai diventata così convincente sull’elettorato da aver portato anche il principale partito di centro-sinistra italiano all’approvazione di un decreto (decreto Minniti ) allineato alla narrazione dei migranti come “minaccia” e “pericolo”.
In questo senso, la politica è “l’arte di raccontare storie”, un’arte che talvolta prescinde dai dati e dalla realtà di fatto: qualcuno sarebbe tentato di parlare di un’ideologia, di una narrazione d’idee se non fosse che viviamo in un mondo in cui le ideologie sono state decretate finite.
Eppure, dati alla mano, la realtà appare completamente differente dalla narrazione dominante e martedì 12 dicembre l’Osservatorio Migranti ha invitato il dottor Luca Barbana del Centro piemontese di studi africani a presentare il Dossier Statistico sull’immigrazione 2017.
Il primo luogo comune smentito è stato quello dell’invasione. Nel 2016 le persone sbarcate in Italia sono state circa 181 mila, delle quali solo 123 mila richiedenti asilo. Dei 181 mila circa 28 mila erano minorenni, la quasi totalità dei quali non accompagnati dai genitori. Numeri da non trascurare, ovviamente, ma del tutto sproporzionati all’idea di un’invasione, soprattutto se si tiene in considerazione che la Germania ha accolto, nel 2015, circa 1 milione e 200 mila rifugiati.
Anche l’idea del migrante-ignorante, poco istruito che viene in Italia per fare lavoretti “umili” alla verifica dei numeri non regge. Il 38,5% possiede una licenza di scuola media, quasi il 40% un diploma e il 10% anche una laurea. Questi valori superano, in alcuni casi, la media d’istruzione italiana, ma per quanto le conoscenze e le competenze siano affini tra italiani e stranieri, le possibilità di trovare impieghi remunerati e proporzionati al grado di studio si abbassano drasticamente per gli immigrati.
Eppure, in Italia si contano circa 2,4 milioni di stranieri occupati, distribuiti per il 66,4% nel settore terziario (alberghi, ristoranti, servizi alle famiglie…), per il 27,5% nel secondario (industrie e costruzioni) e per un 6,1% nell’agricoltura, arrivando a incidere per l’8,8% sull’intero PIL nazionale, ovvero 127 miliardi di ricchezza prodotta.
A riprova di quanto falso sia il luogo comune del migrante che sottrae risorse alla comunità e che per questo va mantenuto Luca Barbana ha poi presentato il dato relativo ai costi dell’immigrazione: lo Stato italiano spende, per loro, circa 16,6 miliardi tra sanità, istruzione, giustizia e Ministro dell’Interno, ma beneficia di un’entrata pari a 18,7 miliardi, 11,5 dei quali provenienti da contributi previdenziali e 7,2 da gettito fiscale: un saldo complessivo tra entrate e uscite pari a +2,1miliardi.
Anche l’idea del migrante-criminale viene sovente cavalcata, ma il più delle volte sulla base di episodi isolati che nulla hanno a che vedere con la statistica nazionale. Il numero di stranieri in Italia è aumentato dal 2004 al 2015 del 109,2% e le denunce a loro carico sono salite del 31,9%, molte delle quali giustificate da resistenze a pubblico ufficiale nel momento in cui si viene fermati per controlli ai documenti (che ovviamente molti non hanno a causa dell’attuale legislazione). Questa potrebbe sembrare un’evidenza dell’aumento della criminalità dovuta agli immigrati, se non fosse paragonata agli indicatori italiani registrati nello stesso periodo: a fronte di una diminuzione della popolazione pari allo 0,8% le denunce rivolte agli italiani sono cresciute del 36,5%.
Numeri e valori che non esauriscono la totalità del fenomeno, ma che raccontano una storia diversa da quella più diffusa e fomentata soprattutto da partiti e movimenti di destra; una storia che merita di essere combattuta e confutata, puntalmente, giorno per giorno, fino a quando non ci convinceremo tutti del fatto che solo perché sono diverso non vuol dire che sono pericoloso.
Andrea Bertolino