Intervento di Franco Di Giorgi (della Sezione ANPI di Ivrea e Basso Canavese)
Un giorno come oggi e come appena ieri, se si lasciassero andare le cose come le viscere di un numero sempre crescente di persone vorrebbero che andassero, ci troveremmo molto probabilmente di nuovo a rievocare, stanchi ma ancora una volta vittoriosi, la vita spezzata di molti giovani, il loro sangue versato nei macelli del tutto inutili favoriti da idee malsane, rispetto alle quali la storia si dovrà riassumere pazientemente il duro e difficile compito di svelarne l’infondatezza. Viscere che, ce lo diremmo in piena coscienza, sono state, in verità, per tempo, opportunamente e senza alcun ritegno educate e alimentate dal fitto e diuturno dialogo che i media, i sistemi di istruzione e la società intera, per i più biechi interessi, si sono irresponsabilmente impegnati a mantenere con esse.
Perché, certo, il dialogo con le viscere risulta meno complicato che con l’intelletto, ed è sicuramente più gestibile. Se le cose, dunque, dovessero nuovamente riprendere questa piega viscerale, e se la piaga o la cisti contenuta in quelle viscere dovesse rivivere una nuova recrudescenza – Primo Levi parlava infatti di “incistamento” a proposito del fascismo in Europa (lo ricordavamo in una nostra lettera al manifesto del 21 luglio) –, dopo una nuova lotta resistenziale e inevitabilmente partigiana, ci ritroveremmo di nuovo ad assistere alla sentenza di condanna che il tribunale della storia emetterà nei confronti di quelle idee stomachevoli.
È quanto meno per riprovare a frenare, per tirare le briglie al nero, iroso e viscerale cavallo nostrano – visto che l’auriga, nella sua distrazione e indifferenza, ne sottovaluta la pericolosità – che sabato 2 settembre sono intervenuti alla Festa dell’Unità di Torino sia la presidente provinciale che il presidente nazionale dell’Anpi. È sempre, infatti, con questa benemerita Associazione che ci si consulta quando si pensa di organizzare una lotta contro il pericolo nazifascista. Sia Sestero che Smuraglia – accettando l’invito dal Pd a ricucire lo strappo del 4 dicembre (ricordiamo che lo scorso “autunno caldo” la ministra Boschi aveva persino cercato di spaccare l’Anpi in partigiani veri e partigiani falsi) –, hanno sostanzialmente concordato su alcuni punti fermi.
1) Quella pericolosità deriva sia dalla crisi dei valori (non solo quelli ereditati dalla rivoluzione francese, ma anche quello di solidarietà sancito dall’articolo 2 della nostra Costituzione), sia dal fenomeno migratorio in corso e istintivamente cavalcato dalla destra xenofoba. Un fenomeno epocale che, data la sua natura planetaria, stenta a trovare una soluzione condivisa sia nell’Europa “nazionalista” (Brexit docet) sia nell’Italia populista e inguaribilmente razzista («c’è ancora un sentimento sottostante contro gli Ebrei», ha aggiunto a tal proposito Smuraglia).
2)Tali valori dovrebbero invece essere praticati nella vita di ogni giorno, a fronte di una politica, di uno Stato e soprattutto di una scuola che oggi, su questo fronte, lasciano in effetti un po’ a desiderare. Entrambi lo hanno segnatamente ribadito subito dopo l’intervento di apertura di Nino Boeti (Pd e Vicepresidente del Consiglio Regionale del Piemonte), il quale aveva fatto l’elogio della Buona Scuola renziana: apertamente competitiva e aziendalmente funzionale, e pertanto culturalmente demotivante (specie dopo l’introduzione dell’Alternanza scuola-lavoro).
3) La solidarietà deve essere declinata in partecipazione attiva dei cittadini, vecchi e giovani, simile a quella che si è registrata in occasione del referendum costituzionale. Giacché, come insegnano la storia dell’8 settembre e la Resistenza, è solo unendo gli sforzi che si potrà essere in grado di allontanare il pericolo fascista. Anche quello attuale, il quale, secondo il recente sondaggio sul web da parte dell’Anpi, ben più che in semplici opinioni pedagogicamente mal collocate (come si illude qualche esponente politico eporediese), sembra consistere in qualcosa di più ampio rispetto al vecchio fascismo.
4) “C’è un difetto di mentalità nel nostro Paese, che io – ha sottolineato Smuraglia – credo vada corretto”. Questo “difetto di mentalità” è riconducibile sia a quell’incistamento ravvisato da Levi, sia al fatto che, a quanto pare e da quanto si è appreso dall’ultimo “ventennio”, dopo la liberazione – ammoniva amaramente Nuto Revelli – lo Stato italiano non si è affatto liberato della mentalità del primo “ventennio”. Come correggere questo difetto? Come togliere questa macchia? Cominciando, ad esempio, ad attuare, tutti insieme e con il rigore necessario, la Carta costituzionale. I cui principi – ricordava Smuraglia, riportando le parole del presidente Mattarella – sono l’esatto contrario di quelli caldeggiati dal fascismo. A partire dalla XII Disposizione finale, che vieta «la riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del disciolto partito fascista».
Franco Di Giorgi [Professore di Storia e Filosofia, Membro del Comitato della Sezione ANPI di Ivrea e Basso Canavese]