Il 29 maggio Comdata e le organizzazioni sindacali di categoria Slc-Cgil, Fistel-Cisl e Uilcom nazionali hanno firmato un accordo che parla di lavoro da remoto, di gestione del Fis, di controllo della produttività. L’azienda può essere soddisfatta.
Dopo due mesi e mezzo dai primi contagi in diverse sedi Comdata, inclusa quella di Ivrea, che ha portato migliaia di dipendenti a lavorare da casa, venerdì 29 maggio l’azienda e le organizzazioni sindacali confederali di categoria si sono video-incontrate per fare il punto della situazione dopo i cambiamenti organizzativi determinati dalla pandemia Covid-19.
Al termine dell’incontro è stato firmato un accordo che non può dirsi soddisfacente per i lavoratori. Non sono stati affrontati i problemi relativi ad alcuni comportamenti non del tutto consoni dell’azienda e vengono concesse alcune modalità gestionali sfavorevoli ai lavoratori.
Fra i temi non affrontati c’è quello dell’uso da parte di Comdata dell’ammortizzatore sociale Fis al posto della malattia. Il tema è noto e contestato in più sedi: l’azienda ha messo in Fis lavoratori che erano in malattia prima dell’apertura dell’ammortizzatore sociale, nonostante la circolare Inps 130/2017 che ribadisce che se un lavoratore è in malattia prima della data di partenza del Fis resta in malattia e passa in Fis solo al termine di questa. Sembra che l’azienda, solo dietro insistenze, soprattutto di alcune sedi, si sia detta “disponibile” (dimenticando che è un obbligo) a riconoscere la malattia solo se riconducibile al Covid-19. Un’affermazione che se fosse vera sarebbe inaccettabile e discriminante per i lavoratori. Per questo sarebbe stata cosa sana e giusta da parte delle OOSS porre la correzione di questa anomalia come pregiudiziale per sedersi al tavolo.
Un accordo sbilanciato
Nella premessa dell’accordo l’azienda illustra cosa ha fatto, quanto le è costato farlo, i suoi sforzi, mentre nulla viene detto delle criticità dei lavoratori che pure hanno dovuto fronteggiare diverse difficoltà a causa della pandemia e della nuova organizzazione del lavoro e della vita privata (pensiamo solo a chi ha dovuto conciliare il lavoro da casa con le video lezioni e la cura dei figli). Leggendo quelle pagine si ha la sensazione che solo l’azienda abbia avuto dei costi, abbia dovuto riorganizzarsi, mentre i lavoratori hanno solo ricevuto.
Comdata informa infatti che per far lavorare da casa i dipendenti ha dovuto affrontare un investimento di 3,8M€ per l’adeguamento tecnologico, garantire la sicurezza e ridurre il rischio di contagio. Se quel numero sta per 3,8 milioni di euro, è una cifra molto alta. Sarebbe importante per i lavoratori conoscere le voci che hanno concorso a quella cifra per capire se prefigura uno spostamento definitivo di buona parte del lavoro dalle sedi alle abitazioni dei lavoratori.
L’azienda informa anche che continuerà ad anticipare l’assegno di FIS, rinnovato per 9 settimane più ulteriori 5 settimane previste dai decreti governativi, e aggiunge che lo fa “nonostante si sia reso particolarmente gravoso in considerazione delle formalità burocratiche richieste dall’Ente Previdenziale per l’autorizzazione alla compensazione.”. Bontà sua.
Il lavoro da casa va regolamentato
Comdata al momento dello scoppio della pandemia non aveva in essere un accordo per lo smart working (lavoro agile) che è una modalità di lavoro ben precisa che non corrisponde al semplice “lavorare da casa”. Con l’emergenza sanitaria l’azienda, come tante altre nel paese, ha dovuto trasferire velocemente migliaia di posti di lavoro dalle sedi alle case dei dipendenti, senza potere (o volere) fare un accordo con le rappresentanze sindacali per regolare tutti gli aspetti che il lavoro da remoto comporta. Nell’accordo di fine maggio l’azienda si dice pronta a confrontarsi per definire le modalità per il lavoro da remoto, ma non vengono fissati dei termini o delle condizioni preliminari per garantire che questo confronto avvenga al più presto e produca un accordo aziendale per il lavoro da remoto. Attualmente sono circa 7000 dipendenti Comdata che lavorano da casa in tutta Italia. A Ivrea sono circa 750 su poco più di mille a lavorare da casa, mentre circa 160 lavorano in sede e quasi altrettanti sono in Fis.
Gli ammortizzatori sociali non devono diventare ammortizzatori aziendali
Comdata è ricorsa al Fis per operatori di commesse che hanno avuto cali di volumi e per lavoratori che per diversi motivi legati al rischio contagio non potevano lavorare in sede ma neanche da casa, a giudizio dell’azienda (ma anche per loro scelta obbligata da vari fattori). Ci sono stati anche lavoratori che erano disponibili a lavorare da casa, ma non sono stati resi operativi, e quindi messi in Fis. Sarebbe interessante capire il perché.
Ma soprattutto Comdata ha fatto un uso disinvolto dell’ammortizzatore sociale, come mettere in Fis lavoratori regolarmente presenti ma impossibilitati a lavorare per indisponibilità dei sistemi o problemi con la connessione. In pratica l’azienda faceva pagare ai lavoratori momenti di inattività non imputabili agli stessi (con il Fis i lavoratori perdono circa il 20% della retribuzione e non sono percepiti gli assegni familiari). Certo questa distorsione è imputabile ai margini di guadagno sempre più bassi per le aziende di call center a causa dei bandi al ribasso da parte dei committenti, soprattutto le grandi aziende telefoniche, che strozzano le società di servizi telefonici. Ma certo questa situazione non la possono pagare i lavoratori! Una riforma del settore (che regolarizzi anche il tema delle delocalizzazioni) dovrebbe essere una priorità per il paese.
Comdata comunque come da accordo, prende atto delle “divergenze” sull’uso del Fis e “accetta” di farsi carico del periodo di inattività dovuto a fermo dei sistemi o problemi di connettività. Tutto bene quindi? Purtroppo no perché l’accordo dice che nel caso di interruzione senza tempi certi per il ripristino Comdata può concordare con il lavoratore se vuole passare in Fis o prendere “Rol” (permesso per riduzione di orario) oppure recuperare il tempo “perso” in altro turno. In un modo o nell’altro deve quindi essere il lavoratore a pagare per un disguido tecnico, lasciando fra l’altro decidere all’azienda quando “farsi carico” del fermo e quando accollarlo al lavoratore.
Si scrive Biz Effective, si legge controllo della produttività
Un’altra criticità dell’accordo firmato il 29 maggio è la conferma dell’uso del sistema “Biz Effective”, una piattaforma per la raccolta dati sulla produttività dei lavoratori di una data commessa. Nel febbraio 2019 venne già firmato un accordo per l’introduzione in via sperimentale di questo sistema per “favorire l’autoconsapevolezza dei risultati del proprio lavoro e un processo di miglioramento delle performance individuali, di team e di commessa“. L’accordo del 2019 e quest’ultimo escludono sulla carta la possibilità per l’azienda di effettuare il controllo individuale del lavoratore (vietato). A supporto di ciò viene specificato che il sistema è progettato per permettere solo al singolo lavoratore l’accesso ai propri dati produttivi, mentre i responsabili diretti possono solo accedere a dati aggregati per gruppi di minimo 6 persone.
E’ difficile però credere che l’azienda non tenga in considerazione i dati di produttività del singolo lavoratore (dati che ha) quando dovrà fare delle scelte di riorganizzazione, ristrutturazione aziendale, di messa in Fis. Diversi lavoratori segnalano già l’uso dei propri dati di performance da parte dei team leader per far loro pressione senza lasciare spazio al lavoratore di giustificare una telefonata più lunga dei secondi previsti o un giudizio non positivo di un cliente. Certo quei dati non sono mai stati utilizzati per contestazioni disciplinari formali, non è permesso, come non è permesso il controllo a distanza, ma è chiaro che il sistema lascia ampio spazio di manovra all’azienda, anche se informalmente.
La conferma del Biz Effective e l’uso del Fis per fermi dei sistemi praticamente a discrezione dell’azienda sono questioni che impattano non poco sui lavoratori, per questo sarebbe stato più opportuno firmare un’ipotesi di accordo da portare al voto nelle assemblee sindacali. Senza considerare che un accordo con questi termini crea un precedente per tutti i call center, al quale tutte le altre società di servizi telefonici non mancheranno di far riferimento, perché è chiaro che il tema dei controlli, dell’esasperazione delle performance per star dietro a margini risicati, non riguarda solo Comdata, ma tutto il settore.
Occorre vigilare perché non si facciano ulteriori passi indietro nei diritti del lavoro con il pretesto dell’emergenza Covid-19
Come sta accadendo in molte realtà, l’emergenza Covid sta facendo accettare delle condizioni che in tempi normali probabilmente non sarebbero state ammesse.
I diritti dei lavoratori non possono vedere ulteriori arretramenti, e meno che mai in questo periodo critico, anzi questo dovrebbe essere il tempo per riflettere su un’organizzazione del lavoro già fortemente condizionata da precarietà e eccessiva flessibilità a scapito degli ultimi della filiera, i lavoratori e le lavoratrici.
Cadigia Perini