E se per una volta provassimo a mobilitarci prima che scoppi l’emergenza? I sintomi di una crisi occupazionale in Comdata ci sono tutti, soprattutto a causa del calo di attività da parte del principale committente TIM. Parti sociali, istituzioni, territorio devono reagire per tempo.
Prima han lasciato a casa gli interinali, poi hanno chiesto ai dipendenti di stare in ferie, … quando è lecito preoccuparsi e lanciare un allarme? Comdata informa puntualmente le organizzazioni sindacali sulla situazione, quindi gli elementi per ragionare su azioni di contrasto ci sono tutti.
La settimana scorsa l’azienda ha convocato le Rsu di Ivrea per comunicazioni sull’andamento della commessa TIM: hanno confermato il costante calo di volumi di attività. A marzo ci saranno 70.000 chiamate in meno rispetto al mese precedente e considerato che marzo ha più giorni lavorativi, la media giornaliera sarà ancor più bassa di quella di febbraio.
Come pensa l’azienda di gestire il calo di attività?
- Prima di tutto non rinnovando ulteriori 45 contratti in somministrazione (interinali) ancora presenti sulla commessa che vanno ad aggiungersi ai 170 lasciati a casa dal primo febbraio.
- Quindi spostando alcuni lavoratori su altre commesse (in particolare su quelle Wind e MediaMarket) e questa è la soluzione più “normale”.
- Infine chiedendo ai dipendenti di stare a casa utilizzando le loro ferie.
La reazione sindacale?
Per il primo punto nessuna difesa in campo, i sindacati delle categorie dei somministrati non sono nelle aziende. Le loro rivendicazioni devono farle dall’esterno ma soprattutto contro le leggi che permettono queste tipologie di contratto precario e flessibile, perché sappiamo che non c’è nulla di illegale nell’usa-e-getta dei lavoratori.
Mentre sul tema delle ferie i rappresentanti sindacali hanno potuto appellarsi alle norme contrattuali delle quali hanno chiesto il rispetto. Il risultato è stato parziale, hanno infatti ottenuto che venga chiesto di stare a casa in ferie solo a chi ha un saldo superiore a 50 ore. A questi lavoratori l’azienda potrà chiedere da 1 a 20 giorni di ferie “coatte”.
Le Rsu hanno però soprattutto chiesto che venga approntato un progetto aziendale globale e di lungo respiro che garantisca continuità e stabilità per la sede di Ivrea, “In caso contrario porteremo avanti tutte le azioni che riterremo più opportune per tutelare le lavoratrici e i lavoratori di Comdata Ivrea”, scrivono nel loro comunicato e volantini che hanno distribuito in questi giorni.
Tutta colpa dei diritti?
Il grande scoglio però non è tanto il comportamento dell’azienda che altro non fa che l’azienda … quanto la scarsa consapevolezza dell’essere in piena regressione dei diritti resa possibile dal ricatto occupazionale. Mi spiego meglio.
A causa della crisi occupazionale, per qualsiasi lavoro a qualsiasi condizione un datore di lavoro ti “concede” tu devi essere contento, “ringrazia che hai un lavoro!” è il mantra. Nel senso comune delle cose è passato che la colpa della crisi del lavoro stia tutta nei diritti dei lavoratori: diritto a un lavoro stabile, sicuro, pagato il giusto, con orari che permettono la conciliazione del tempo del lavoro con il tempo di vita, … Eh, quante pretese!
Questo senso comune segna la vittoria del liberismo, della libertà di azione incondizionata delle imprese, le grandi imprese, contro la vita delle lavoratrici e dei lavoratori.
Porto una testimonianza puntuale ma che ben rappresenta buona parte dell’opinione comune. Mi è capitato di leggere uno scambio di battute fra un piccolo imprenditore e alcuni lavoratori di Innovis. Il primo afferma che, pur essendo spiacevole dirlo, bisogna rendersi conto che i contratti di lavoro di Innovis hanno un costo troppo alto, “fuori mercato”, e aggiunge che “questa è la triste realtà del mondo del lavoro attuale”, non è colpa di Comdata. “E’ la triste realtà di cui tutti dovremmo prenderne atto se si vuol lavorare oggi giorno bisogna adattarsi ed adeguarsi alla situazione attuale del mercato del lavoro, forse non solo pretendere e basta.”
Ecco il senso comune: la realtà è questa e tu ti devi adattare.
Non è presa in nessuna considerazione la possibilità di contrastare questa realtà, come se essa fosse ineluttabile (qualcosa al quale non ci si può opporre). Questo pensiero assume o anzi ha provocato la passivizzazione dei lavoratori che appunto accettano tutto in nome della “crisi”. Ma questa crisi chi l’ha provocata? Chi la coltiva? Chi ci marcia? Almeno chiederselo sarebbe un passo avanti. E certo causa della crisi non sono i lavoratori che il loro prezzo lo stanno pagando con il peggioramento delle condizioni di lavoro e di vita.
Per questo staremo sempre dalla parte dei lavoratori che si oppongono a questo stato di cose, come i lavoratori e le lavoratrici di Innovis che resistono, che chiedono solo l’attuazione di loro diritti, resistono anche per tutti quelli che hanno ceduto, che stanno cedendo.
I diritti non sono un costo, ma un valore per una società. Cosa è accaduto perché si ribaltasse un principio così semplice che è costato anni di lotte nel secolo scorso? Vogliamo proprio tornare all’800?
L’assenza delle istituzioni
Intanto in questo quadro desolante di senso comune che classifica i diritti fra i lussi, di debolezza sindacale anche a causa della passivizzazione dei lavoratori, di liberismo imprenditoriale dove le grandi aziende magari possedute da fondi finanziari che non hanno altra visione che quella del tornaconto economico puro e sempre massimizzato, se non interviene la riattivazione della “società civile”, l’iniziativa sindacale, l’intervento delle istituzioni, difficilmente questa “realtà” potrà cambiare.
A Torino i vertici di Regione e Comune stanno incontrando i sindacalisti per chiedere a Fca garanzie sul futuro degli stabilimenti torinesi. E a Ivrea? Era il 29 gennaio quando i lavoratori e le lavoratrici di Innovis venivano ricevuti dal sindaco Della Pepa e dall’assessore al lavoro Capirone. Il sindaco prese l’impegno di chiamare l’azienda per un confronto, sembrava che lo avrebbe fatto il giorno dopo come prima cosa invece, ad oggi non c’è traccia di quell’incontro.
E’ dunque la realtà ad essere dura, o chi in questa realtà galleggia senza badare a chi rischia di annegare?
Cadigia Perini