Claudia Cardinale, per sempre fidanzata d’Italia

Addio a una splendida attrice

Jill, l’hai fatto il caffè? Questa volta sì.
Siamo alle battute finali di C’era una volta il west, il classico western italiano di Sergio Leone, il regista che ha saputo sorprendere gli stessi americani, maestri nel genere.
Jill è la protagonista femminile del film, impersonata da Claudia Cardinale e lui è Jason Robards nei panni di Cheyenne. Mia madre lo faceva così il caffè… caldo, forte e buono, chiosa dopo un po’ Cheyenne ed io, in questo tris di aggettivi, vedo aleggiare il carattere di un’attrice forse nata per caso, come lei stessa aveva dichiarato, ma che il caso aveva scelto perché dotata di talento per vivere, per recitare e stregare, con il suo fascino, intere generazioni.
Lei era calda di tenerezza e sensualità, forte nella fierezza d’animo, e di buono, anzi di ottimo, aveva quel tratto di umanità tipico della diva consapevole dei suoi privilegi.
La bellezza che, di rado la natura concede, giunge agli occhi dell’osservatore più acuto il quale, davanti a una scuola, vede in lei il volto che il grande schermo insegue e corteggia e così le chiede se vuole fare del cinema. Lei non ci crede, ma offre lo stesso la sua mano alla mano tesa del sogno. Esordisce in un piccolo ruolo, poi il cinema la trascina nel ballo, preludio di quello Viscontiano e indimenticabile del Gattopardo, e si iscrive al centro sperimentale di cinematografia, studia, ma si sente negata per la recitazione, nonostante Franco Cristaldi la vincoli con un contratto settennale e Monicelli la scritturi per I soliti ignoti del 1958.
Il film segna il suo esordio italiano, determina la sua carriera e l’aiuta a sbloccare la sua timidezza introversa. Di notte, dichiara in un’intervista, tenevo il copione sotto il cuscino per paura di dimenticare le battute. Nei suoi primi film la voce, anche per l’accento che la connota, essendo nata nella Tunisia francese, viene doppiata, ma poi il cinema se la prende integralmente, fedele anche alla diversità tipica proprio della sua voce.
Da Monicelli in poi la Cardinale vola, lavorando con i più grandi registi e mettendo in repertorio più di cento film. I registi sono maestri come Monicelli, Zurlini, Visconti, Fellini, Herzog, Leone, Bolognini, Comencini, Squitieri e i film sono titoli che stanno nella storia del cinema. Le scene sono iconografia pura. Visconti conferisce il tocco della leggiadria ad Angelica che balla il valzer brillante di Verdi nel Gattopardo. Lei si scioglie nel volteggio, leggera tra le braccia di un mostro sacro come Burt Lancaster. I costumi, la Sicilia, la maniacale perfezione formale del regista, anche nella direzione degli attori, consacrano la Cardinale a livello internazionale.
Lei è una conquista del cinema perché anche il cinema si lascia conquistare dalla sua bellezza. I suoi occhi, come di cerbiatta, sono perle brune e vivaci, il suo passo è soave nell’abito bianco, la sua grazia un profumo di eleganza, la sua bellezza un incanto di donna. Anche se la bellezza non può fare tutto da sola.
Quando parla di sé in un’intervista, Claudia ricorda come alla bellezza si debba abbinare la capacità di trasmettere l’emozione che il regista e quindi l’attore devono far arrivare al pubblico. Il suo viso magico ha acquisito rapidamente nel lavoro l’arcobaleno delle mille espressioni, che alimentano i suoi personaggi.
La vuole anche Werner Herzog in Fitzcarraldo nel 1982, un regista estroso che scrittura anche un attore altrettanto folle come Klaus Kinski. Insieme sono in Amazzonia tra gli insetti e l’acqua dei fiumi color di terra. La Cardinale indossa di nuovo un vestito bianco e gli indigeni la scambiano realmente per una dea. C’è una bagnarola rugginosa nella corrente e sul tetto Kinski e un grammofono con la musica di Caruso, che tiene a bada le rapide, annichilisce le presenze della giungla, e suggella l’amore dell’avventura di tutti quei protagonisti.
La Cardinale ha vissuto l’ebbrezza del cinema e la notorietà di un’attrice universalmente amata, ma anche la sua vita privata, come quella di tutti noi, è stata graffiata e scossa dalla sofferenza. Senza di essa, diceva Claudia, non avrei potuto dare spessore ai miei ruoli, così come dimostra la pressoché totale identificazione con Aida, il personaggio della ragazza madre abbandonata, nel film di Zurlini La ragazza con la valigia del 1961. Claudia, donna forte amava i personaggi forti. Il suo cinema è un veliero di successo. Ogni vela è a forma di cuore con le firme dei suoi capolavori. Lei come tutte le vere star, C.C come B.B., tra l’altro protagoniste insieme nel film Le pistolere del 1971, hanno permesso al loro fascino senza tempo di accettare anche i cambiamenti del tempo. Ogni ruga, non rinnegata, è la testimonianza del valore e della vertigine del vissuto. Claudia Cardinale, nel film di Leone, si sporge dal treno, questa volta con il vestito nero e il cappello bianco e le sue espressioni mutano nell’incertezza di ciò che la vita, nelle sue pieghe dolci e amare, può avere in serbo per ognuno di noi.
Dopo la sua scomparsa terrena, adesso per Claudia albeggia una nuova partenza, il film e la vita non sono più separati, il sogno e la realtà si confondono e lei ora è in viaggio verso l’esplorazione dell’intangibile. Solo la musica di Morricone sembra persistere nell’accompagnamento metafisico del commiato.
Grazie Claudia, attrice di classe, con il piccolo adorabile vezzo di mordicchiarsi ogni tanto il labbro inferiore, nella vita reale come nel cinema.

Pier Le Blanc