Martedì 30 maggio 2017 ore 15.00, 17.10, 19.20, 21.30
Mercoledì 31 maggio 2017 ore 15.30, 18.00
regìa Antonello Faretta / soggetto e sceneggiatura Antonello Faretta / fotografia Giovanni Troilo / musica Vadeco / montaggio Maria Fantastica Valmori / scenografia Nunzia Decollanz / costumi Federica Groia / interpreti Pia Marie Mann, Joe Capalbo, Caterina Pontrandolfo, Luciana Paolicelli, Domenico Brancale, Anna Di Dio, Mario Duca, Aurelio Donato Giordano / produzione Antonello Faretta, Adriana Bruno, Pia Marie Mann, per Noeltan / origine Italia 2015 / distribuzione Noeltan / durata 1 h e 30’
scheda filmografica 30
Una donna americana scopre l’identità della sua vera famiglia e decide di partire per raggiungere il paesino delle sue origini nel sud dell’Italia. Al suo arrivo a Montedoro, viene sorpresa da uno scenario apocalittico: il paese, adagiato su una maestosa collina, è completamente abbandonato e sembra non ci sia rimasto più nessuno.
La storia di Porziella (interpretata da un’intensissima Pia Marie Mann), orfana lucana adottata da una coppia di americani, che torna dopo decenni nel luogo della sua infanzia (il paese abbandonato di Montedoro, in Lucania), è un film fatto di silenzi e poche, intensissime parole, dove una parte di dialoghi è lasciata ai suoni della natura e del tempo che passa. Dai versi degli animali che popolano ogni sua inquadratura, i corvi, le capre, gli agnelli, i cavalli, gli uccelli e gli insetti che abitano le montagne aspre e aggressive della Basilicata, ai versi dei pastori che si fanno puro suono, sibilo, schiocco, per comunicare con i sassi e con le bestie.
(…) Ed è una riflessione su come l’abbandono lasci tutto apparentemente intatto, a un attimo dal crollo definitivo. È contro di esso che combatte questa coraggiosa pellicola. Ma, sia chiaro, Montedoro non è un film “etnologico”. Questo film le tradizioni, le lingue, i canti, i luoghi della tradizione, non si limita a registrarli e magari a interpretarli. Li usa. Ha nostalgia del futuro. Usa la tradizione come fosse una fionda per scagliare ogni sentimento (e ogni desiderio) nel futuro. E questo lo rende “necessario”. Montedoro, insomma, è un film profondamente mediterraneo, un film girato sulle montagne della Basilicata che ci racconta com’è fatto il Mediterraneo, quando si trasforma in roccia, sale, polvere e fuoco. Se avete voglia di vedere il mare, il nostro mare, quando si asciuga e si fa sotterraneo, quando si trasforma in erba, alberi, cime, valli, in acqua dolce, buona per dissetare, quando si maschera da terraferma, allora andate a vedere Montedoro. Ne vale la pena.
(Lello Voce)
(…) La colonna sonora, che si apre con Una furtiva lagrima da L’elisir d’amo¬re, diviene così un incedere di voci ancestrali che continuano a parlare del luogo e del lega¬me che i nativi hanno con esso, pur se in lenta dissolvenza. Faretta è consapevole che la pre¬carietà dell’inquadratu¬ra cinematografica, “che è di per sé un ectopla¬sma”, non basta a cattu¬rare per sempre l’anima di ciò che sta per com¬parire dallo sguardo – come si nota nella scena dell’iPhone in cui la pro¬tagonista viene messa in guardia dalle Corve: «che bisogno hai della nostra immagine? […] non puoi portarci via, noi non esistiamo per il mondo» – ma dalla sperimentalità di un acco¬stamento cinetico di apparizioni e sensazioni arriva a realizzare un saggio concretissimo e ispiratissimo sul “ritorno a se stessi”, sul ri¬congiungimento con le origini terrene e così mitologicamente umane e poetiche, già cine¬matografiche di per sé. L’immagine sarà pure effimera, ma Montedoro è un film che riscrive le regole e non andrebbe perso tra le rovine delle nostre sale.
(Giulia Marras)