Martedì 20 marzo 2018 ore 15.00, 17.10, 19.20, 21.30
Mercoledì 21 marzo 2018 ore 15.30, 18.00
titolo originale Lady Macbeth / regìa William Oldroyd / soggetto tratto dal romanzo breve Lady Macbeth del distretto di Mcensk di Nikolaj Leskov / sceneggiatura Alice Birch / fotografia Ari Wegner / musica Dan Jones / montaggio Nick Emerson / scenografia Jacqueline Abrahams / costumi Holly Waddington / interpreti Florence Pugh, Cosmo Jarvis, Paul Hilton, Naomi Ackie, Christopher Fairbank, Golda Rosheuvel, Anton Palmer, Rebecca Manley, Cliff Burnett, Bill Fellows / produzione Sixty Six Pictures, iFeatures / origine Gran Bretagna 2016 / distribuzione Teodora Film / durata 1 h e 28’
Campagna inglese, 1865. A 17 anni, Katherine è costretta a un matrimonio senza amore con un uomo di mezza età. Soffocata dalle rigide norme sociali dell’epoca, inizia una relazione clandestina con un giovane stalliere alle dipendenze del marito, ma l’ossessione amorosa la spingerà in una spirale di violenza dalle conseguenze sconvolgenti.
(…) Il film è diretto dal giovane regista teatrale inglese William Oldroyd al suo primo lungometraggio, l’idea e la sceneggiatura sono di una commediografa, Alice Birch, che ha dato all’intreccio letterario originale una svolta, cambiando non solo il finale, ma ribaltandone il senso, le ragioni e i torti. Lady Macbeth del distretto di Mcensk è un breve romanzo del russo Nikolaj Leskov, pubblicato a metà Ottocento, e gli autori del film ne spostano la storia dalla Russia zarista all’Inghilterra classista, severa e desolata di Cime tempestose e di Jane Eyre. Lady Macbeth (…) porta con sé un gelido fascino che incombe irresistibile sullo spettatore: è lei, Lady Macbeth, a illuminare e offuscare tutto il film, interpretata da Florence Pugh, 19 anni, capace di rappresentare ogni emozione attraverso la loro assenza sul suo bel viso adolescente e imperscrutabile, il suo muoversi svelto nel casto abito a crinolina che la imprigiona in un busto forzatamente stringato, la modestia obbligata dall’essere una donna sposata che le fa tenere i capelli stretti a treccia raccolta sulla nuca, la nudità carnosa con cui si appropria del piacere, quando i lunghi capelli liberati ritornano selvaggi. Della casa in cui Katherine è reclusa si vedono solo gli interni, corridoi grigi, mobili pesanti e scuri, scale che non si sa dove portino, porte chiuse, un gatto rosso che attraversa la luce fredda delle stanze. Come questa palazzina sia all’esterno non lo vediamo, come sia collegata al mondo non lo sappiamo: fuori c’è un immenso orizzonte vuoto, brughiera, vento, nuvole, fango.
(…) Lady Macbeth sfiora l’horror, è inquietante e il fascino ipnotico a cui è difficile sfuggire deriva anche dal silenzio: dialoghi scarni, nessun commento musicale, la scelta forse snob ma comunque giusta, di non servirsi neppure di una nota dell’opera del compositore russo Dmitrij Šostakovič, ispirata al romanzo di Leskov e dallo stesso titolo, che invece Andrzej Wajda usò ampiamente nel suo Siberian Lady Macbeth di ambientazione rurale, girato in bianco e nero nel 1962.
(Natalia Aspesi)
Fiaba nera con mix di gotico e romantico d’ambiente rurale vittoriano, dal romanzo di Leskov (ma il finale è diverso). (…) In questo exploit, percorso ‘a freddo’ nell’eco del Rohmer in costume, siamo chiamati a cogliere una reazione ideale di sesso e delitto. Non è chiaro che cosa vuole dirci sulle ormai note capacità rivoluzionarie del femminismo da combattimento in metafora e fuori di metafora, ma ha il fascino delle ribellioni al terrore con il terrore, tra stanze dell’amore, boschi dell’orrore e il sangue inaccettabile dell’innocenza.
(Silvio Danese)