CSP annuncia l’apertura di una procedura di licenziamento collettivo per 33 lavoratori sui 58 rimasti al CIC dopo lo smebramento a seguito della scadenza a dicembre 2018 delle commesse avute in dote dai soci pubblici che hanno venduto il CIC nel 2015.
Il Consorzio per l’informatizzazione del Canavese (CIC) sta ingloriosamente arrivando alla fine dei suoi giorni, una fine prevedibile fin dal 2013 e per la quale nessuna istituzione pubblica si è mossa per tempo per evitarla. D’altronde è difficile muoversi quando l’inizio della fine viene esattamente da una cattiva gestione del Consorzio proprio per mano dei suoi soci, tutti enti pubblici. E per queste ragioni, crea profondo fastidio, e rabbia, la mozione presentata dal PD e approvata all’unanimità nell’ultimo consiglio comunale del 19 aprile.
Cosa dice la mozione?
In primo luogo prende atto di tre punti:
- il Comune di Ivrea nel 1985 dette vita al Consorzio per l’informatizzazione del Canavese (CIC) per sviluppare e gestire i servizi informatici nell’ambito degli Enti Locali ed Enti Pubblici, in particolare, del territorio canavesano;
- nel corso del tempo il CIC è divenuta una realtà professionalmente significativa nell’erogazione di servizi integrati ICT, in particolare Conctat Center, Help Desk, Sanità elettronica, ERP;
e fin qui nulla da eccepire, anzi la premessa rafforza l’idea che il CIC fosse un patrimonio da salvaguardare non da affossare. E’ il terzo punto che fa saltare sulla sedia chi ha seguito o vissuto in prima persona la vicenda del CIC e vuole che le responsabilità se non sanzionate vengano almeno rispettate. Si legge:
- nel 2015, a seguito di asta pubblica, il CIC è stato ceduto dai soci pubblici al Gruppo CSP S.p.A. divenendo a tutti gli effetti un soggetto privato.
Anche se nell’affermazione non si dicono delle falsità, viene però alterata la verità. Nel 2015 il CIC è stato venduto alla CSP non semplicemente a seguito di asta pubblica, ma a causa di una gestione manageriale inageduata e dell’enorme buco di bilancio che i soci pubblici, Comune di Settimo Torinese e la sua municipalizzata ASM, hanno creato e tutti gli altri hanno lasciato crescere, e infine al colpo di grazia assestato dall’ASLTO3 che a gennaio 2015 aveva garantito una commessa da 5,4 mln di euro per ritirarla tre mesi dopo. E tutti insieme ha portato il CIC alla liquidazione.
Quello che stupisce che proprio i consiglieri del PD facciano oggi queste considerazioni, visto che erano al tempo della vendita maggioranza nell’amministrazione eporediese che a sua volta era fra i maggiori soci del CIC e presente anche nel CdA del CSI Piemonte, altro socio debitore del CIC, con un suo rappresentante. Bisogna dire che il Comune di Ivrea è stato uno dei soci/clienti migliori del CIC, perché non ha prodotto debiti nel Consorzio e alla fine ha tentato in ogni modo il salvataggio (ricordiamo un drammatico consiglio comunale del marzo 2015 dove venne approvata una mozione, grazie anche al voto favorevole del consigliere Comotto di Viviamo Ivrea, per scongiurare il distacco della spina e salvare gli allora 136 posti di lavoro). Ma dove era il socio Comune di Ivrea quando i sintomi della grave crisi erano già ben evidenti a partire dal 2013 quando il CIC iniziò a non pagare le tredicesime e poi nel 2014 quando si prospettava un buco di quasi 1 milione e trecentomila euro? Non si doveva arrivare alla liquidazione. Si doveva agire non quanto ormai era troppo tardi nel 2015, ma negli anni precedenti, a partire dal cambio di management che ha evidentemente le sue gravi responsabilità nella gestione fallimentare del Consorzio. Ma arrivati alla liquidazione, un altro grave errore ha condannato il CIC, la vendita alla CSP.
La vendita del CIC alla CSP Spa
CSP doveva essere esclusa dalla gara per due semplici e fondamentali motivi. Il primo, la presenza in CSP di Pio Piccini, condannato per bancarotta fraudolenta nel crack Agile ex Eutelia. Parliamo di una vicenda ben conosciuta a Ivrea, avendo quell’azienda una sede importante nella nostra città, una vicenda di rilevanza nazionale. Certo il Piccini, risultava solo come consulente in CSP, se fosse stato amministratore, per la sua condanna, CSP non avrebbe potuto partecipare a gare pubbliche, ma non si è per nulla nascosto. Abbiamo tutti presente la sua faccia sorridente sul principale giornale locale accanto a Claudia Pasqui, sua concittadina e con lui nella tristemente nota Omega che portato alla bancarotta Agile. E’ stato come cedere un agnello a un lupo, ma così andò e quindi oggi, nessuno dei protagonisti di allora ha il diritto di stupirsi dei procedimenti penali né della crisi finanziaria della CSP guidata da Piccini.
Il secondo motivo era meno evidente, ed è emerso dalle indagini, ma avrebbe dovuto far scattare un campanello d’allarme già al tempo della vendita che fu invece accolta con grande sollievo e pure eccessiva enfasi dagli amministratori pubblici e dalla stampa locale (varieventuali escluso …) che parlarono di tenacia e convinzione di CSP nell’operazione, dimostrate dal “metter mano al portafoglio”. Gli articoli in quei giorni parlavano di un “investimento consistente”, 5 milioni e 350mila euro. In realtà CSP pagò solo “un corrispettivo complessivo di euro 2.685,01” per il resto, conferì crediti per 1,5 milioni e un software per la gestione dei sistemi informatici delle aziende sanitarie chiamato DHE della Gesi Spa, valutato 3,7 milioni di euro. Un valore onestamente eccessivo e il dubbio che fosse stato gonfiato per sborsare meno soldi doveve sorgere in chi vendeva. Infatti venne poi fuor che CSP aveva acquistato la piattaforma DHE dalla Gesi Spa solo pochi giorni prima e l’aveva messo in bilancio per un valore di 1,3 milioni contro i 3,7 valutati per comprare il CIC. Lo dicemmo allora, lo ripetiamo: il CIC fu svenduto e non a buone mani.
Tornando alla mozione presentata nel consiglio del 19 aprile
Tutte queste critiche sono state ribadite nel consiglio comunale di venerdì 19. Alla mozione del PD risponde per prima l’assessora al Bilancio Piccoli che passa però la parola alla collega Ballurio che bacchetta lievemente i proponenti ricordando chi amministrava nel 2015 (c’era pure lei nel ruolo di presidente del consiglio), ma non facendo cenno alla “commissione di indagine” per “analizzare le motivazioni della crisi economica e finanziaria del consorzio e verificare eventuali responsabilità oggettive e soggettive all’origine delle perdite del consorzio”, commissione chiusa senza un nulla di fatto nel maggio 2015 dopo le dimissioni dei consiglieri Tognoli e Comotto che sostennero che non vi era stata la volontà di farla funzionare. L’intervento più critico è stato quello del consigliere Comotto che seguì e si spese per la vicenda, ma che alla fine ha votato la mozione del PD, passata all’unanimità. Perché chi poteva dirsi contrario ad impegnare il sindaco:
- a monitorare con attenzione la situazione di questa azienda e dei suoi lavoratori;
- a considerare l’opportunità e la necessità di convocare un “tavolo di confronto” con la partecipazione dell’azienda, delle organizzazioni sindacali e della Regione Piemonte al fine di fare chiarezza sulla situazione e capire le intenzioni e strategie dell’azienda rispetto al futuro del CIC;
- a valutare eventuali azioni nella direzione della tutela e salvaguardia dei posti di lavoro degli attuali lavoratori ancora dipendenti del CIC, eventualmente anche attraverso l’attivazione degli ammortizzatori sociali.
Ma tutto questo, perdonate, è demagogia. Il tavolo di confronto in Regione l’hanno chiesto direttamente i lavoratori al Sindaco in occasione dello sciopero del novembre scorso ed è stato attivato dall’assessora Pentenero a gennaio convocando le parti (sindacati e CIC). Se si voleva veramente tentare di salvare l’occupazione in CIC si doveva intervenire per evitare lo smembramento, il si salvi chi può nella rincorsa delle commesse riassegnate senza clausola di salvaguardia, che ha portato a soluzioni parziali (pochi piccoli gruppi di lavoratori collocati in altre aziende e fuoriuscite individuali), condannando chi è rimasto in CIC ad un futuro complicato.
Ma come si poteva votare contro? Probabilmente un’azione politica più giusta ed efficace sarebbe stata la presentazione di un’altra mozione per dire come sono andate veramente le cose e quindi impegnare il sindaco e la giunta ad assegnare (finalmente) la delega al lavoro e quindi l’assessore designato a interloquire con CSP, le organizzazioni sindacali e la Regione e relazionare al consiglio nella prossima seduta. Era chiedere troppo?
Cadigia Perini