Il sottosegretario alla Giustizia Ferri risponde all’interrogazione (di tre mesi fa) della deputata Rossomando (PD) e conferma la situazione critica dell’istituto
Dopo la chiusura delle celle del carcere di Ivrea usate per “punizioni” disposta dal DAP (Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria), quella “liscia” (anche detta “nuda” o “zero”) è in attesa di ristrutturazione per diventare una cella come le altre, mentre quella chiamata “acquario” è stata arredata come una sala d’attesa (quale avrebbe sempre dovuto essere) per le visite mediche.
Resta inevasa, invece, la richiesta per il carcere di Ivrea (avanzata formalmente al DAP il 23 dicembre scorso dal Coordinamento regionale dei Garanti dei detenuti piemontesi) “di attivazione di un sistema completo di videosorveglianza, strumento che potrebbe permettere la costruzione di nuovi rapporti e relazioni di fiducia, fornendo anche la Direzione di un efficace ausilio per la gestione in sicurezza delle risorse umane della polizia penitenziaria”.
Intanto il 7 febbraio, a Montecitorio, il sottosegretario alla Giustizia Cosimo Ferri ha risposto all’interrogazione presentata il 3 novembre scorso dalla deputata Anna Rossomando (PD).
Il sottosegretario, in merito ai “fatti occorsi nell’istituto di pena”, si è rimesso alle indagini giudiziarie in corso da parte della Procura della Repubblica di Ivrea. Indagini delle quali, ha affermato la deputata Rossomando, “sarà importante conoscere gli esiti poiché si tratta di più denunce e segnalazioni”.
Confermata dal rapporto del Garante nazionale dei detenuti la situazione molto critica del carcere di Ivrea, il sottosegretario ha garantito che la situazione è monitorata, mentre la deputata PD ha aggiunto: “prendo in parola il sottosegretario Ferri quando afferma che in occasione delle previste nuove assunzioni di personale a livello nazionale si terrà conto delle carenze emerse a Ivrea. Infine – ha concluso Rossomando – è necessario procedere alla nomina di un comandante non precario che possa garantire quella stabilità necessario in una situazione così critica“.
Intanto all’interno dell’istituto la situazione pare come congelata. Probabilmente per effetto dell’attenzione mediatica, dell’intervento del Garante nazionale, del DAP e del ministero, la situazione pare calma, ma è facile pensare che la tensione non si sia affatto dissolta, considerato che le condizioni generali e strutturali del carcere eporediese non sono cambiate.
A segnalare la prosecuzione di vendette nei confronti di alcuni detenuti coinvolti nei fatti del 25 ottobre scorso all’interno del carcere, un comunicato di “Ribelli canavesani, Casellazzo assediato” nel quale, dopo aver denunciato la vicenda della montatura giornalistica intorno al detenuto marocchino “terrorista” espulso, si afferma che “attraverso le corrispondenze mantenute con i detenuti, prontamente trasferiti a Novara, Cuneo, Vercelli, siamo venuti a conoscenza della richiesta di rapporti disciplinari e continuo isolamento che stanno scontando.
E’ partita infatti la richiesta di regime 41 bis per Angelo Grottini, detenuto nel carcere di Vercelli, a cui già veniva ritardata e censurata la posta. Si trova in isolamento e al freddo.
Surco Edoardo, trasferito nel carcere di Novara, si trova in isolamento e denuncia le condizioni della struttura sempre pessime. Non gli sono stati consegnati opuscoli, volantini e articoli di giornale.
Dolce Marco, detenuto nel carcere di Ivrea, parla di una calma apparente scandita dalle frequenti tensioni con le guardie. Continua ad essergli negata una importante visita medica.
Infine Matteo Palo, che, per aver scritto la prima lettera di denuncia di ciò che era accaduto nel carcere di Ivrea, pur non partecipando alla rivolta, si è ritrovato in isolamento e gli sono stati impediti i colloqui con i familiari”.
Il comunicato si conclude con l’annuncio di un’iniziativa all’interno della campagna Pagine contro la tortura: un presidio davanti al carcere di Novara sabato prossimo, 18 febbraio, alle ore 14.
Se l’attenzione di media, istituzioni e giovani dei centri sociali continua, non si ha notizia di iniziative della comunità locale (né della sua istituzione rappresentativa, il Comune) nei confronti del “quartiere chiuso” in corso Vercelli 165. Eppure è evidente (tanto da diventar tedioso ripeterlo) che solo un’interazione continua ed efficace tra città e carcere può generare qualche effetto positivo in un’istituzione che produce solo emarginazione e violenza, come confermano i dati sulla “recidiva”(intorno al 70%).
fz