Rubrica La scimmia sulla spalla
Ciao a tutti, il mio nome è Riccardo e questo è il quattordicesimo giorno di disintossicazione dal mondo social, nella fattispecie dalle piattaforme Facebook e Instagram.
Per anni ho convissuto con l’idea che fosse indispensabile far parte di questo nuovo mondo di convivialità e socialità e che nulla potesse scalfire il potere di promuoversi attraverso un computer o un telefonino.
Tra Facebook e Instagram passavo al giorno, mediamente, la bellezza di 150 minuti, i quali calcolati sul peso settimanale si gonfiavano a ben 17,5 ore. Praticamente 910 ore all’anno.
In dieci anni, a stima, ho donato a Mr Zuckerberg 25 giorni interi della mia vita, scanditi da click, like e informazioni personali ormai raccolte in qualche byte fagocitato dagli algoritmi di sistema.
Il recentissimo isolamento mi ha portato a una condizione di profonda riflessione e selezione e, sebbene tra le letture abbia trovato spazio Dieci ragioni per cancellare subito i tuoi account social di Jaron Lanier, la decisione è arrivata lenta, graduale e in buona parte slegata da questa lettura a puro scopo informativo (dalla quale, peraltro, mi aspettavo qualcosa di più).
Ho congelato il mio rapporto dai social network principalmente dopo aver razionalizzato di non voler più in alcun modo occupare il tempo altrui, e per lo stesso concetto, non voler occupare, tappare, tamponare il mio di tempo.
E in quanto “occupare” s’intenda la spasmodica attrattiva di guarnizione ai tempi morti.
Voler trascorrere del tempo ascoltando o leggendo di qualcuno o qualcosa, è tutt’altra storia. Inutile sottolinearlo ma è bene farlo.
Ciò che avverto a riguardo delle babeliche gabbie invisibili per criceti umani è il cigolio prossimo allo sfascio.
Ci era stato promesso e promosso questo innovativo metodo infrangibile e universale per unire le persone del nuovo millennio ma si sta, passo passo, dimostrando un muro divisore di plexiglass.
Il concetto di unire è una maschera che cela il termine omologare.
Trattasi di un esperimento di massificazione, a mio avviso, fallito.
La socializzazione è venuta meno e a meno è venuta la coesione. Una tecnologia avanzatissima proposta come democrazia globale sfruttata da campo di battaglia trincerato da ossessivi slogan a fine politico e asfissiante promozione pubblicitaria.
Le masse di iscritti utilizzate ad algida moneta virtuale di un grosso Monopoly giocato dalle multinazionali.
Per Zbiegnew Herbert “il topo diventò l’unita monetaria”. Noi, siamo quel topo.
Citando Andrew Lewis “Se non state pagando qualcosa, non siete un cliente, siete il prodotto che stanno vendendo”.
Bisogna prendere atto, oggi e subito, della sostanza stupefacente di cui siamo tutti fruitori. Scontrarsi con essa se necessario.
La famosa scimmia sulla spalla proverà a graffiarvi e strapparvi i capelli indiavolata.
Se non a titolo definitivo provate a prendervi un periodo di pausa e tornare a contatto con la realtà che ci circonda. Non ve ne pentirete.
Nei primi giorni capirete che il clic si era formalizzato in un tic. Vi sentirete subito smarriti quando la mattina accenderete il telefonino o quando sarete in coda in attesa del vostro turno. Vi sentirete più soli è vero, forse intuendo che la promessa dell’unione mondiale e dell’ubiquità suprema era fasulla.
Negli ultimi periodi aprivo le app senza desiderarlo veramente, la mia attenzione e concentrazione era minata dal sincopato: sblocca, clicca, scorri, blocca.
I social network sono l’illusione del mago che tira fuori il coniglio dal cappello e fa sparire la moneta nel bicchiere d’acqua. Il trucco c’è ma non si vede.
Ci alienano dalla basilare ed elementare comprensione del mondo.
Qui non si sta parlando della raccolta dati o della privacy mirata secondo dopo secondo, bensì del nostro modo di affrontare e tradurre la vita vera. Pensateci bene.
“Nessuno paga le social media company per portare la pace nel mondo e trasformarci in creature gentili”.
Jaron Lanier
Riccardo Bonsanto