RUBRICA La scimmia sulla spalla
Sei tu la parte migliore di me stesso, il limpido specchio dei miei occhi, il profondo del cuore, il nutrimento, la fortuna, l’oggetto di ogni mia speranza, il solo cielo della mia terra, il paradiso cui aspiro.
William Shakespeare
Quante volte nel corso dell’anno ci capita di agguantare un frutto dalla fruttiera, tastarlo, e pensare che sì, è in linea con lo stato di maturazione gradito? A me capita spesso. Soprattutto con le pere.
E ugualmente spesso capita che il frutto prescelto dal sottoscritto non sia ancora del tutto pronto. Acerbo. Poco succoso. Una zucca.
Quanto starò per dire concerne con la mercificazione emotiva sbandierata dallo scriteriato utilizzo di smartphone e social network: giardini dell’Eden del nuovo millennio da cui poter attingere a mele acerbe con fare bulimico.
Diciamocelo. Consciamente o inconsciamente, ci piace assai essere a meno di un centimetro da chiunque in una manciata di secondi. Permeare nei pensieri, nella quotidianità e nei segreti più reconditi. Poter sperare che quel “mi piace” o quel commento attiri l’attenzione della persona che tanto bramiamo. Perché se un tempo questo non ci era concesso, se non muovendo il fatidico passo dall’anonimato, da una decina di anni, tutti: belli, brutti, simpatici, antipatici, cattivi, bravi, sentiamo viva l’opportunità di battere quel calcio dalla bandierina al minuto di recupero che può svoltare la partita.
Celati dietro un profilo che dovrebbe quantomeno rappresentare noi stessi, ma che infondo idolatra piccole porzioni di piccoli momenti di presunta felicità e benessere, ci irroriamo del potere divino a portata di pollice.
Ma cosa stiamo raccontando di noi stessi? Quali informazioni stiamo ricevendo dalla persona dall’altra parte del display? Quanto stiamo perdendo del platonico? E del gusto dell’attesa? E della timida poesia che coltiviamo dentro?
E come se non bastasse, e come se non bastassero i ben datati locali di appuntamenti per coppie, ecco piombarci addosso Tinder e compari di merenda. Piattaforme che in sostanza ti aprono le porte delle frequentazioni senza sosta (e senza senso).
E qui ci terrei a precisare, per non cadere in fraintendimenti, ch’io non abbia nulla contro la più libera e promiscua attività sessuale possibile. Anzi, spezzo una lancia a favore, asserendo che la più svariata libertà, e per libertà intendo libertà assoluta, sia una scelta al pari di una monogamia indotta. In sostanza, trovo più coerente chi prende atto delle proprie esigenze: se soffri la monogamia, tanto vale perseguirla, perché moralmente più affine alla normalità. L’inferno esiste solo per chi ne ha paura.
Ciò su cui sentenzio è la drammatica frattura del fato (da considerarsi come serendipità e non come destino inevitabile).
Mi mette ribrezzo sentirmi cavia da laboratorio di un algoritmo; chissà in quante situazioni già veniamo trattati come tali.
Eppure in tutto il mondo le iscrizioni aumentano e tra qualche anno ai nostri figli racconteremo “Sai, figlio mio, ho conosciuto tua madre grazie a Facebook, tua zia invece ha conosciuto tuo zio su Instagram, e tua sorella se la fa con un tizio conosciuto su Tinder l’altro ieri”
A tal proposito, consiglio la visione del film Her, in cui il protagonista, interpretato da Joaquin Phoenix, instaura una relazione virtuale con una voce virtuale, la quale, in linea con il diktat della tecnologia moderna, apprende giorno dopo giorno ogni sfaccettatura di ciò che siamo e facciamo.
– Samantha ma con quante persone parli mentre parli con me?
– 8316.
– E di quanti di questi ti sei innamorata?
– 641. Ma questo non danneggia l’amore che provo per te.”
Sorpassati i convenevoli dell’arte del corteggiamento; in che modo viene vissuta una relazione consolidata e mediamente normale nei giovani oggigiorno? Quanta intimità e attimi di raccoglimento personale ci sta distruggendo la messaggistica h24? (E in questo mi ci tiro dentro come primo dei colpevoli, reo confesso.)
La filosofia della mela platonica è innegabilmente affascinante, seppur considero che il segreto di un rapporto stia nel viverlo nell’equilibrio precario dell’incertezza; scegliendosi attimo dopo attimo, nudi da vincoli. Lo trovo profondamente appagante e rassicurante, a mio punto di vista. Un precariato d’amor che spinge a non abituarti all’abitudine.
Tornando a Platone, la messaggistica h24 dà il senso sì di una mela ricomposta dalle sue metà, ma appiccicata a forza con l’attak …
In pratica siamo instancabili operai alla catena di montaggio; comunichiamo a cottimo.
E tornando alla fruttiera e al rischio di agguantare frutta acerba e poco succosa, vi posso condividere umilmente due pensieri.
Il primo pensiero, o meglio, consiglio, in chiave ortofrutticola, è quello di ticchettare sull’anguria prima di acquistarla; se canta un Si bemolle significa che ha raggiunto lo stato di maturazione perfetta. Non avrà il sapore di una zucca.
Il secondo, che si rifà al concetto, ma in chiave metaforica, è quello di liberarsi il più possibile dai meccanismi artificiali che si frappongono tra noi esseri umani; siano essi rapporti in divenire o rapporti già consolidati. Non arriverà neanche tra mille anni una tecnologia capace di avallare il potere di uno sguardo o il fremito di una carezza.
Questo assillante starsene incollati è tossico: ci rende pigri e insipidi.
Come frutta acerba. Poco succosa. Dal sapore di una zucca o ancor peggio di un’anguria che ticchettandola canta un Fa diesis calante.
Dreams are my reality
a wonderous world where I like to be
illusion are a common thing
I try to live in dream
although it’s only fantasy
Dreams are my reality
I like to dream of you close to me
I dream of loving in the night
and loving you seems right
perhaps that’s my reality
Reality, Richard Sanderson
Riccardo Bonsanto