RUBRICA La scimmia sulla spalla
Se i giovani d’oggi, come affermato nell’articolo scorso, dispongono d’una corsia preferenziale all’informazione, ciò non si può dir per quella fascia generazionale che va a ricoprire i loro cugini stempiati, i loro genitori, i loro zii, prozii e via dicendo.
Chiariamo fin da subito: la porta girevole da cui si accede al mondo del web è la medesima, ma, chissà perché, una volta entrati, gli “over” (nella maggioranza, non nella totalità) si trovino catapultati in un contesto del tutto differente. Dovuto di certo a una cattiva interpretazione dei contenuti e, sovente, a un errato utilizzo di quest’ultimi.
I giovani, lo abbiamo capito, ci hanno fatto il callo; hanno avuto modo di entrare gradualmente in contatto con una realtà-non reale, la quale ha sviluppato loro un fiuto incredibile: l’evoluzione di un sesto senso olfattivo.
Si muovono come piccoli e veloci pesci nel tessuto a maglie fini che è la rete; e forse è proprio per la loro dimensione e la loro scaltrezza che riescono a non rimanerne impigliati. Nella rete. Per l’appunto. Tessuta di spam pubblicitari, fasulle vincite a premi, e-mail promettenti eredità da zii oltreoceano o fake news.
Le false notizie, male del Millennio digital, stanno stravolgendo la società in cui viviamo. Questo sordido giochino, o virus pestilenziale (per restare attuale coi tempi odierni), si sta divorando l’instabile struttura sociale su cui poggiamo i nostri gracili piedi.
Immagino, affabulando, che la genesi delle fake news, come per alcune delle più grandi scoperte dell’umanità, sia avvenuta per serendipità.
Vedo un burlone perdigiorno davanti a uno schermo led 15,6 pollici, a scrivere e lanciare in rete una fesseria dopo l’altra. Cosa vuoi che sia… internet è terra di nessuno. E di tutti. E il suo atto, in fondo, è una bravata; simile a pisciare, innocente, in cima a una montagna su un cumulo di vergine neve, creando inavvertitamente una catastrofica valanga.
Ed ecco che il più funzionale marchingegno di veicolazione delle masse della storia verso la disinformazione, conosciuto finora, è sorto dal nulla!
Il punto cruciale di questo orrido modo di mentire, sapendo di mentire, doveva però stabilizzarsi e prosperare su un terreno fertile; e qual miglior terreno di un ampio pubblico di ignari untori e inesperti utilizzatori del web?
Ma come scoprire una fake news?
In genere si cementifica su tre fondamenta chiave: 1 Cromatismi o scritte che saltano all’attenzione. 2 Una forte leva sulla “pancia” e sull’istinto non ragionato. 3 È pubblicato da una fonte non attendibile.
Il giornalismo moderno, ormai, è pressoché sorretto dai titoli (e non quelli di borsa); nessuno ha più voglia e tempo di leggere l’integrità dell’articolo. Ma, signore e signori, la verità NON RISIEDE MAI nel titolo preso da solo. MAI.
Titoli che giocano sul clickbaiting (esca da click), la cui principale funzione risiede nell’attirare utenti al click, al fine di generare rendite pubblicitarie che, a quanto pare sono predilette all’informazione.
Avete mai visto un teenager pubblicare o inviare una fake news? Io, in tutta sincerità, no. In caso contrario, trattasi della classica eccezione che conferma la regola.
Ma voltiamo pagina, entrando nel capitolo “Contenuti superflui e assillanti”.
Avrete anche voi quel parente ebete che passa il giorno a postare, inviare, spammare, likkare, whatsappare, condividere, inoltrare: video di gattini, cagnolini, politici, buongiorno, buonanotte, barzellette âgée, discorsi all’umanità, donne nude, macchine, macchinette, macchinine, pranzetti, cenette, picnic, case, casette, casupole che vi intasano la memoria del telefono. Tranquilli, è tutto normale, lo abbiamo tutti; persino la famiglia della Mulino Bianco ha dichiarato di avercelo.
Se non è così, è bene ch’io vi dica in tutta sincerità che è giunto il momento di guardare in faccia la realtà. Allo specchio.
Lo screzio non alloggia né nella buona fede né nella condivisione del contenuto; risiede nel meccanizzare i movimenti di questo assillante e asfissiante modo di gettare in rete e agli individui, ogni chincaglieria. Vomitando contenuti in moto perpetuo.
Quasi un lavoro, un obiettivo, una dipendenza, ma è poco meno che una catena di montaggio di aria fritta. Come se non condividendo ammennicoli a tutti i contatti, la scimmia sulla spalla vi saltasse sulla testa graffiandovi il volto.
Mi trovo, mia fortuna, o mio malgrado, nell’età a cavallo tra l’influencer diciottenne e il cugino stempiato quarantenne. E per quanto possa essere lontano il mio modus vivendi dall’influencer diciottenne, è raro che ella s’improvvisi tuttologa, scivolando su esilaranti bucce di banana. Questo lo apprezzo. Non si raffazzonerà statista, esperta di geopolitica, virologa o storica.
Il cugino stempiato quarantenne, dall’alto del suo scranno, lo farà.
Sentenzierà, giudicherà, vaticinerà, litigherà. In fondo, il web, è terra di nessuno. E di tutti.
«I social media danno diritto di parola a legioni di imbecilli che prima parlavano solo al bar dopo un bicchiere di vino, senza danneggiare la collettività. Venivano subito messi a tacere, mentre ora hanno lo stesso diritto di parola di un Premio Nobel. È l’invasione degli imbecilli». (Umberto Eco)
I dibattiti in rete offrono molti spunti su cui pensare. Li seguo e li inseguo. Mi attraggono.
Non so dirvi se è insita in me una missione antropologica oppure una crudele derisione della stupidità di certi individui.
Vi posso affermare che, vedere persone rispettabili e no, non più in balia degli sbalzi ormonali adolescenziali, altera in me una battaglia tra lo scherno e la più profonda malinconia.
Cosa spinge un uomo, una donna, rientrato/a dal lavoro, o un anziano nella sua lunga giornata, a combattere una guerra dell’odio, una fabbricazione di insulti e gogne pubbliche?
Da dove traggono questo focolare d’odio sconsiderato che pare invece nei più giovani non s’appicchi?
Ödön von Horváth, scrittore e drammaturgo austriaco del primo Novecento, scrisse un immortale romanzo non troppo conosciuto intitolato “Gioventù senza Dio”. Il tema trattato era l’abisso tra i valori umani e la spietata egoista medio piccola borghesia traghettata verso quello che verrà poi a essere il Nazismo. Un cumulo di ingranaggi roteanti tra loro.
Nel libro il punto focale erano i giovani, “senza Dio”. Oggigiorno non è così. È in atto il risvolto della medaglia. Una senilità d’un Dio senza Dio.
Può essere l’apatia, l’immobilismo, una (a detta dei grandi) mancanza di ideali da parte degli adolescenti invece un nuovo modo, in fase del tutto embrionale, di cambiare le cose? Di dire no a un sistema marcio che non funziona più?
A pensarci bene i giovani d’oggi sono nati sotto il segno dell’11 settembre 2001, adombrati dal disastro economico del 2008 e nella trincea d’un boom migratorio aggredito da populismi allegati in copia. Si sono trovati, ci siamo trovati, rappresentati da una classe politica abominevole senza uno stralcio di ideale.
Può questa nuova antitesi generazionale aver qualcosa da insegnare all’uno e all’altro? Può il coadiuvare dei due modi di vivere e pensare, indirizzarci sui giusti passi?
Insomma, nati negli anni Sessanta, Settanta, Ottanta, eravate molto più stimolanti quando vi facevate rifilare il ceppo di legno al posto di uno stereo fuori dall’Autogrill: un cocktail di bidonata e furia che col tempo ha creato un aneddoto spassoso.
Terribilmente più spassoso di quel che sarà negli anni, e nei libri di storia, il ricordo di aver inseguito e condiviso falsa informazione e fate Morgana.
Non a caso la politica dei capomastri del populismo hanno nei loro miglior sostenitori e strilloni a titolo gratuito, i pubblicatori seriali di fake news.
Congedandomi, siano le mie, parole di sensibilizzazione all’uso di Internet, non all’ammutinamento raggiunta una soglia anagrafica limite. Mai mi sentirete dire parole simili che puzzano di proibizione antidemocratica.
Ma siate consci che un computer o uno smartphone, oggi, possono essere paragonabili all’imbracciare un fucile carico e puntato.
Nuovo mondo. Nuove guerre.
«La tv aveva promosso lo scemo del villaggio rispetto al quale lo spettatore si sentiva superiore. Il dramma di Internet è che ha promosso lo scemo del villaggio a portatore di verità» (Umberto Eco).
Riccardo Bonsanto